Selma Derwich, psicoanalista di origini tunisine, cresciuta a Parigi, decide di tornare a Tunisi per aprire uno studio per esercitare la professione: il regime è cambiato in Tunisia (la Primavera araba è compiuta), ed è convinta che il Paese sia pronto per aprirsi alla psicoterapia. Nel suo studio, con tanto di Sigmund Freud appeso alla parete, riceve molti e diversi pazienti: la parrucchiera in crisi con la madre, il panettiere in confusione sessuale, un imam che ha perso la fede, e molto altro. Selma si scontrerà con una Tunisia a metà tra il cambiamento e la staticità, e dovrà muoversi in un ambiente complesso, costellato da atavici ostacoli e pregiudizi.
Un divano a Tunisi è l’opera prima della regista franco-tunisina Manele Labidi. Il film è uscito lo scorso ottobre nelle nostre sale, poco prima della chiusura: per chi non fosse riuscito a vederlo, ora si può noleggiare su Prime Video.
Una commedia leggera e piacevole, capace di raccontare l’avventura della protagonista con uno sguardo serio e, al tempo stesso, ironico: i personaggi che compongono l’universo di Selma sono caratteristici senza scadere nel caricaturale (questo è un grande punto a favore). Come è variegata questa Tunisi, la psicoterapeuta ha molto materiale su cui lavorare: i suoi abitanti hanno tanto da scoprire di loro stessi, tutti i pensieri, i traumi intimi, le turbe che, per il radicato costume, hanno nascosto sotto una fitta coltre di silenzio e omissioni. Selma è una donna non sposata che se ne infischia, intelligentemente, del giudizio altrui: sempre pronta ad ascoltare i suoi pazienti sdraiati sul divanetto, non le interessa il giudizio bacchettone dei parenti e della ottusa polizia locale. La psicologa cerca in questa avventura tunisina una rivincita sui fantasmi del passato: ritornare nella sua patria e riuscire a realizzarsi lavorativamente in quel luogo da dove era fuggita da piccola, con la famiglia. In più, a Parigi non è più possibile per lei esercitare proficuamente la professione: ci sono troppi psicologi, quindi la Tunisia diventa sia un obiettivo morale che una concreta occasione lavorativa, dato che lì gli psicologi sono praticamente assenti (Selma unisce tanto la necessità quanto gli ideali, è una persona pratica). Manele Labidi racconta questa curiosa, divertente e seria vicenda senza scadere troppo nell’ovvio, con scelte ben mirate ed una trama semplice, ma efficace. Una commedia sull’affermazione di sé e sul cambiamento individuale e collettivo, dove si fondono società, cultura e religione: il ritratto di un Paese pronto ad aprirsi a nuove esperienze, attraverso la storia di una donna determinata (ma non retorica) che vuole dare il suo piccolo contributo a questo mutamento.
Silvio Gobbi