«Tu sei umano». Così si rivolge Benedetto XVI al cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio, durante un dialogo all’interno della Cappella Sistina. Una pensiero semplice, ma fondamentale: un monito del pontefice verso il suo cardinale, pieno di dubbi e deciso ad abbandonare la carriera ecclesiastica. Siamo tutti uomini e quindi predisposti ad ogni forma di errore, e così sono i personaggi de I due papi, di Fernando Meirelles (disponibile su Netflix): sia Ratzinger che Bergoglio sono innanzitutto due esseri umani, poi due personaggi eminenti della Chiesa Cattolica. Il primo, studioso e teologo di lunga data, il secondo, un gesuita che sa stare in mezzo alla gente come nessun altro. Papa Ratzinger, conservatore, in continua lotta contro il “relativismo”, Bergoglio, aperto ad una visione più moderna della Chiesa. Ma l’argentino è stanco: non crede più che la Chiesa possa rinnovarsi e decide di rassegnare le sue dimissioni (di persona) al papa. Ratzinger, seppur antitetico all’argentino, non vuole accettare l’abbandono del cardinale. Da questo rifiuto, parte il serrato dialogo tra i due, ambientato tra Castel Gandolfo e Roma, abilmente ricostruito e reinventano da Meirelles. I due papi contiene ogni registro: commedia, dramma, storia e biografia. Questa varietà stilistica dona alla pellicola un raro e piacevole senso di completezza, rappresentando pienamente i suoi personaggi, i loro aspetti noti e sconosciuti: la loro vera umanità, i loro vezzi, difetti e pregi. Difficile realizzare un film di ambientazione ecclesiastica che non scada nella banale agiografia tipica di tanti prodotti televisivi e fiction: Meirelles riesce a non idealizzare nessuno dei suoi protagonisti. I dolori, i dubbi, gli errori commessi dai due personaggi donano un’immagine autentica, capace di distaccarsi dalla semplificazione narrativa ormai imperante in molte opere cinematografiche, ottenendo un’indimenticabile storia oscillante tra il conflitto e l’intesa. Esemplare è l’incontro nei giardini di Castel Gandolfo: qui l’attrito iniziale tra i due è potente, fortemente evidenziato, durante il dialogo, da un campo-controcampo serrato, uno scontro tra i primi piani dei due dialoganti, proprio per rendere al massimo la discordanza delle loro due visioni di Chiesa. Ma Ratzinger, prossimo ad abbandonare il trono di Pietro, arriva ad ammorbidirsi: con il proseguire della vicenda, le inquadrature si fanno più sciolte, il campo-controcampo sempre più diradato e sempre meno netto, fino alla sequenza nella Cappella Sistina, dove i due sono così in sintonia da sembrare che non ci siano più stacchi di macchina. L’evoluzione del rapporto è visibile non solo grazie alla regia, ma anche per merito dei due attori protagonisti: Anthony Hopkins (Ratzinger) e Jonathan Pryce (Bergoglio) si dimostrano (ancora una volta) degli interpreti eccezionali, autentici in ogni loro battuta, sguardo e mossa. La regia corrobora la loro prova attoriale, adattando la cinepresa al contesto: camera a mano nei momenti di tensione, sfocature nei minuti di dubbio, riflessione e confessione. Recitazione e regia dinamiche: solo così si ottengono film di un certo rilievo, capaci di distinguersi. E I due papi è all’insegna del dinamismo: un cammino che, in poco più di due ore, racconta di più del semplice incontro tra Ratzinger e Bergoglio. Tramite questo dialogo, Meirelles rappresenta la secolare tensione tra il rigore della tradizione e la necessità di apertura e di cambiamento della Chiesa. Questi due papi rappresentano tanto la loro storia personale quanto l’ormai infinito scontro tra queste due visioni del cristianesimo: il regista racconta (grazie al fondamentale contributo dello sceneggiatore Anthony McCarten), con leggerezza e serietà al contempo, tanto una vicenda biografica (tra realtà e fantasia) quanto una disputa teologica e morale ancora oggi aperta.
Silvio Gobbi