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Cecco d'Ascoli (opera conservata nella Pinacoteca comunale di Ascoli)
Cecco d'Ascoli (opera conservata nella Pinacoteca comunale di Ascoli)

Un saggio di Pellegrino su Cecco d’Ascoli poeta e scienziato

Ricorre quest’anno il 750° anniversario della nascita di Cecco d’Ascoli e per l’occasione è stato recentemente pubblicato da Andrea Livi Editore il saggio di Alberto Pellegrino intitolato La vita avventurosa di Cecco d’Ascoli. Medico, scienziato, astrologo e poeta, uno studio nel quale si analizza, secondo un’ottica storica e sociologica, la figura di questo poeta-scienziato che è inquadrato nella società del suo tempo.

Francesco Stabili (Ancorano di Ascoli 1269 – Firenze 1327) assume il nome di Cecco d’Ascoli e, una volta compiuti i primi studi, frequenta la Scuola Medica Salernitana che nel Duecento è la prima e più importante scuola di medicina d’Europa, i cui docenti s’impegnano a tutelare la professione medica dalla concorrenza dei cosiddetti medicastri senza abilitazione accademica, contro i quali si scaglierà anche Cecco d’Ascoli, definendoli stregoni e ciarlatani.

Il saggio si preoccupa di sfatare le leggende sorte intorno alla figura di Cecco che, una volta ritornato ad Ascoli, è accusato di praticare la magia nera. A questo scopo sono analizzate le varie fonti letterarie e le differenze tra arti magiche e astrologia, considerata nel medioevo un’attendibile scienza divinatoria, tanto da essere insegnata nelle università e da essere seguita nei suoi responsi da regnanti e uomini di potere. Al contrario, essa è guardata con sospetto dalla Chiesa, la quale teme che, qualora il destino umano sia governato dagli astri, la stessa vita, passione e morte di Gesù Cristo possa perdere ogni valore. Questa tesi è stata sempre contestata da Cecco d’Ascoli, il quale afferma che l’astrologia non intacca il libero arbitrio dell’uomo, il quale conserva il potere di scegliere e indirizzare le proprie azioni indipendentemente dalle indicazioni degli astri.

Alla fine del Duecento Cecco si trasferisce a Firenze, dove entra in contatto con gli ambienti letterari del tempo e qui nasce un’altra leggenda, avvalorata dalla critica letteraria della fine dell’Ottocento e del primo Novecento, secondo la quale sarebbe sorta una profonda inimicizia tra Dante Alighieri e il poeta ascolano, tanto che il suo poema L’Acerba viene definito l’Anticommedia. Secondo teorie più recenti, i due personaggi non sono divisi da asti o antipatie personali, ma dal fatto di avere una visione diversa del mondo, della vita e della poesia. Dante, con il suo grande poema, chiude il Medioevo, mentre Cecco annuncia i tempi nuovi e precorre per certi versi l’Umanesimo, scrivendo il più grande poema didascalico e scientifico del Trecento.

Cecco trascorre Il secondo periodo della sua vita a Bologna, essendo stato chiamato a insegnare medicina e scienze in una delle più celebri e stimate Università europee.

Perseguitato dai suoi nemici e dalla Chiesa, egli è costretto ad abbandonare la città felsinea, dopo la condanna dell’Inquisizione, per fare ritorno nel 1326 a Firenze, dove riceve l’incarico di astrologo e medico di corte da Carlo d’Angiò duca di Calabria e signore di Firenze. Cecco arriva in una città dilaniata dalle guerre tra guelfi e ghibellini e trova ancora una volta una forte ostilità negli ambienti medici, politici ed ecclesiastici, per cui è processato dall’Inquisizione e condannato al rogo per eresia con una sentenza che sarà eseguita nel settembre 1327 in Piazza Santa Croce. Tutti i suoi libri sono al pari condannati ad essere bruciati, compreso il suo poema L’Acerba che si salva ad opera di alcuni fedeli amanuensi.

Nel saggio si procede a una dettagliata analisi dei cinque libri del poema, di cui si mettono in evidenza i contenuti scientifici, i valori morali, l’importanza della conquista del sapere. L’aspetto più innovativo di questo lavoro è rappresentato dal confronto tra la vita e il pensiero del poeta ascolano con la vita e le opere dello studioso tedesco Johan Georg Faust, anche lui accusato di magia e stregoneria, del filosofo Giordano Bruno, la cui esistenza si conclude tragicamente sul rogo in Piazza di Campo de’ Fiori dopo la condanna dell’Inquisizione romana.

Il saggio si chiude con l’analisi dell’eredità culturale e morale di Cecco d’Ascoli, la cui lezione più attuale si basa su alcuni fondamentali insegnamenti: rifiutare il determinismo del Fato e identificare la fortuna umana con la possibilità di conquistare e approfondire il sapere (“Non è fortuna che ragion non vinca”); raggiungere la serenità dello spirito e aspirare all’immortalità attraverso il sapere (“quant’ha intelletto l’uomo, tant’ha di bene:/perché la conoscenza d’intelletto/conduce l’uomo per diritti rami”); praticare la speculazione filosofica e scientifica, facendosi guidare dal dubbio (“Non è virtù non dubitar del mondo”); dare il massimo valore all’amore per la conoscenza, rappresentando essa l’unico mezzo valido per rendere immortale la vita dell’uomo; trasmettere il sapere ai giovani attraverso l’insegnamento, perché in questo modo s’illuminano le menti e costituisce la strada maestra per condurre l’uomo verso la perfezione; garantire la libera ricerca per esaminare tutto ciò che è a portata della ragione, tenendo ben distinte Fede e Scienza.

Il messaggio del poeta ascolano è un invito rivolto ai posteri per mantenere una vigile attenzione sui propri pensieri, per usare la prudenza nel saper distinguere il bene dal male, per fare buon uso della ragione, per valutare le esperienze del passato con lo scopo di “leggere” meglio il futuro e dirigere il corso degli eventi. Cecco d’Ascoli è l’uomo “nuovo” che crede nella libertà di conoscenza da considerare una prerogativa e un diritto di ogni essere umano, che si oppone alla corruzione dei valori morali e dei costumi, che esalta la forza creatrice del pensiero e la necessità d’indagare liberamente per scoprire i segreti nascosti nel seno della Natura.

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