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Carlo Boldrini e il suo libro "Reverse"
Carlo Boldrini e il suo libro "Reverse"

Carlo Boldrini si racconta e presenta il suo libro “Reverse”

Dal sito Fashiontimes

Un giorno mi è arrivato in redazione un libro rosso. L’ho guardato con sospetto, poi l’ho aperto e ho cominciato a leggerlo, saltando da una pagina all’altra, perché se c’è una costante nel nostro lavoro è quella di non aver mai tempo di far niente. A un certo punto ho capito che tutto quello che era stato fatto in Pil Associati è partito dalla mente di questo ragazzo, all’epoca nemmeno trentenne, e che tra quelle pagine svelava tutti i suoi segreti.
Un “pazzo” praticamente. Chi svelerebbe tutti i suoi segreti, con il rischio che questo libro finisca anche tra le mani di possibili competitor?
Questa domanda è rimbalzata nella mia mente per giorni, poi quando l’ho incontrato, ho capito. Si tratta di spontaneità, perché in questo libro ci sono delle strategie di gestione aziendale, c’è un vero e proprio metodo imprenditoriale che potete leggere, rileggere, studiare e magari imparare a memoria, ma che non servirà a nulla se non a riempire la vostra testa con informazioni nuove che non riuscirete a mettere in pratica, se prima non farete lo sforzo di cambiare il vostro punto di vista, diventare più spontanei, cercare l’empatia e credere nelle persone che lavorano con voi.

Carlo Boldrini (di San Severino; ndr) tutte queste cose le ha fatte per 10 anni senza saperlo. Ora le trovate tutte scritte in questo libro rosso che si chiama “Reverse”.

Come nasce Pil?

“Torno indietro a più di 10 anni fa, era il 2006. Mi sono laureato nel 2004 in comunicazione e poi mi sono specializzato in marketing e comunicazione d’impresa. Poi come fanno tutti quando finiscono il ciclo di studi, mi sono messo alla ricerca di stage, ma non ho dei bei ricordi di quelle esperienze. Ricordo che un’azienda mi propose uno stage di 6 mesi dove mi dava o la casa o 180 euro al mese. Un’altra azienda mi propose uno stage a Milano, dove mi proponeva 500 euro al mese, ma non era comunque conveniente, perché dovevo trasferirmi da Civitanova, prendere una stanza in affitto e mantenermi lontano da casa e con quel compenso risultava impossibile. Dopo queste brevi esperienze alla ricerca di uno stage, decisi che se avessi dovuto fare la gavetta e i sacrifici per un’altra azienda, sarebbe stato più intelligente farli per la mia società, e così a settembre 2006 decisi di aprire l’agenzia di comunicazione. Ai tempi ovviamente la comunicazione non era come adesso, quindi l’agenzia nasceva più come studio grafico e come agenzia di eventi sul territorio, anche se in quel periodo di eventi ne facevamo davvero pochi, ma visto che venivo proprio da quel settore, mi sembrava la cosa più naturale da fare”.

Quando eri all’università come immaginavi il tuo futuro, qual era il tuo sogno?

“Ti dico la verità, ho scelto Scienze della comunicazione perché era un po’ una novità e visto che già lavoravo nel mondo degli eventi ho pensato fosse interessante, ma secondo me alla fine anche chi l’ha creata non si rendeva conto di dove potesse arrivare. Avevo fiutato che poteva sicuramente essere il lavoro del futuro e considera che nel 2004 non c’erano i social, non si parlava di digital, quando abbiamo aperto l’agenzia nel 2006 facevamo grafica e i siti ancora in flash (non c’era quell’attenzione verso l’html), c’erano pochi e-commerce e chi comprava online veniva considerato un folle. Era un settore fermo da vent’anni, anche se cominciavamo a sentire un’aria di cambiamento, anche se non riuscivamo a capire cosa stesse cambiando, ma avvertivamo qualcosa. Nascendo e partendo dalle Marche, il tragitto è stato molto più lungo e più difficile di quello che si possa pensare. Arrivo da un paese, San Severino, che addirittura è a un’ora di macchina da Civitanova. Poi mi sono spostato proprio a Civitanova, dove c’è uno dei poli più importanti della calzatura italiana, con moltissime aziende che creano accessori di moda. Partendo da lì, il mio obiettivo era quello di seguire la comunicazione per le aziende del territorio”.

Ma Carlo Boldrini a prescindere da ciò che ha realizzato con Pil, cosa voleva fare da grande?

“Ancora non sono grande (ride)… quindi devo ancora capire bene cosa voglio fare in futuro. All’università mi vedevo più nella parte organizzativa degli eventi, perché alla fine era ciò che facevo durante gli studi. Diciamo che ho cominciato un lavoro che mi appassionava, ed essendo una persona di relazione, tutto è stato più semplice, perché questa è stata un po’ la mia fortuna, perché quando stai in mezzo alla gente, conosci le persone, parli con loro, riesci a capire prima di altri le esigenze di mercato per diventare precursori su ciò che veniva richiesto dalle aziende. Siamo stati lungimiranti a puntare sui social, siamo stati bravi a programmare in html, siamo stati veloci a fare cose prima degli altri. Così dall’idea di focalizzarci sugli eventi ci siamo aperti all’utilizzo di nuove forme di comunicazione che poi erano quelle che calzavano anche meglio alle strategie di comunicazione dei nostri clienti”.

Quali sono state le difficoltà più importanti che hai dovuto superare nel corso di questi 10 anni?

“La prima sicuramente quella che ti accennavo prima, sulla presentazione delle case history. La cosa più difficile di quando cominci è dimostrare la credibilità del tuo lavoro. La prima cosa che ti chiedono è “fammi vedere cosa hai fatto”. Se vendi olive le vogliono provare, se vendi scarpe magari ti chiedono il conto-vendita, se vendi servizi, come nel nostro caso, vogliono vedere ciò che hai fatto e poi forse ne parliamo. Il secondo punto è quello di trovare collaboratori validi e magari anche più bravi di te per spendere le loro competenze e la loro credibilità che magari si sono costruiti in altre esperienze nello stesso settore. Poi la gestione delle persone stesse, che diventando sempre più grande l’azienda, diventa sempre più difficile. Avendo lavorato tanti anni nel mondo degli eventi ero agevolato sul rapporto con le persone. Questa oggi è un’azienda che nasce con il valore delle persone e delle risorse umane”.

Come siamo arrivati a questo libro?

“Il libro nasce da un’altra idea e poi è nata un’altra cosa ancora. Nasce come una biografia su di me scritta da Stefano Genovese, uno scrittore che conosco dalla “prima vita”. Il tutto nasce da una chiacchierata con Sebastiano Zanolli, che ha fatto anche la prefazione del libro, un amico che tra le tante cose che fa (è un collaboratore di Renzo Rosso da tanti anni), fa anche il personal branding. Un giorno parlando con Sebastiano, mi ha svelato questo suo progetto di scrivere libri biografici su imprenditori che con piccole e medie-imprese fanno girare l’economia del paese, e mi ha detto che per la mia storia e per quello che avevo fatto ero perfetto per questa sua idea. Mi disse “sei un giovane, partito da un paesino delle Marche, in 10 anni sei arrivato a Milano con un’azienda che oggi conta più di 40 collaboratori” e mi ha proposto questo progetto. Mi piace poco parlare di me, perché non mi ritengo certo Steve Jobs. Sì, ho creato un’azienda, come hanno fatto tanti altri…. Allora parlando di queste mie perplessità con Stefano siamo arrivati alla conclusione di non parlare tanto di me, ma del mio metodo di fare impresa e in questo libro abbiamo raccontato quelli che sono i valori e le cose importanti, le 7 regole che dal mio umile punto di vista sono quelle che fanno funzionare questa azienda, che se applicate nel modo corretto funzionano in qualsiasi realtà imprenditoriale e in qualsiasi settore. Lo scopo finale è diventato quello di far emergere un metodo imprenditoriale, quindi una sorta di manuale, con alla fine di ogni regola un esercizio per verificare se la persona, l’imprenditore o il dipendente, sta applicando quella regola”.

Perché Reverse?

“L’abbiamo chiamato Reverse e abbiamo racchiuso tutto in questa parola perché il nostro statement è WE, THE PEOPLE, che detto così è tutto e niente… ma in realtà è un modo per dire che noi come agenzia partiamo sempre dalle esigenze del consumatore, chiaramente rispettando le richieste del cliente. Cerchiamo di vedere le cose anche dal punto di vista di chi poi andrà a comprare quel prodotto. Reverse vuol dire un po’ questo, un po’ per la mia indole di andare controcorrente e un po’ per dare un punto di vista diverso. Ogni lettera di Reverse racconta un fondamento, che nel libro viene raccontato non solo da me, ma anche dalle esperienze di collaboratori sia interni che esterni che hanno lavorato in Pil. C’è anche un’intervista a Emilio Tini che ha lavorato con noi per diverse campagne fotografiche, c’è l’intervento di diversi collaboratori attuali, ma anche di chi ha lavorato qui ma che oggi ha preso un’altra strada professionale. Ognuno di loro racconta un’esperienza di questi fondamenti”.

Cosa vuoi comunicare ai giovani con questo libro?

“Voglio che questo libro possa essere un’ispirazione, raccontando una realtà più vicina a chi lo leggerà e che possa far giungere ad una semplice conclusione “se ce l’ha fatta questo che è partito da San Severino nelle Marche, perché non posso farcela io, che magari abito già a Milano?” (ride).
All’inizio c’è una pagina con tutti i tuoi “contro”, tra cui la politica auto-referenziale. Non hai timore che qualcuno leggendo il libro pensi che sia un controsenso scrivere un libro che parla di come ha creato la tua società? Sono d’accordo, infatti poi alla fine ho scritto che sono anche contro me stesso”.

Cosa vuol dire essere contro te stesso?

“Alcune cose sono state interpretate anche un po’ male, come quando ho detto “sono contro i commercialisti e gli avvocati”, quando in realtà è da intendere che se viviamo in un paese civile non avremmo bisogno degli avvocati e dei commercialisti, che oggi per forza di cose sono i miei migliori amici. Come credo che in una visione di un paese più civile forse non avremmo bisogno più neanche degli uffici e potremmo lavorare tutti da casa. Quella è stata un’introduzione un po’ provocatoria. Volutamente provocatoria”.

C’è qualche tuo competitor che segui con attenzione?

“Ci sono delle agenzie che seguo, ma non sono in Italia. Sono tutte oltreoceano. Seguo con piacere qualche azienda americana, per esempio. In Italia molto spesso si sceglie più il nome piuttosto che il servizio che effettivamente viene fornito, e poi magari all’interno vieni seguito da figure senior che non sono paragonabili alle nostre junior…. Quindi cosa dovrei guardare? Sì, sono stati bravi a fare la storia in questi 30 anni, però il paragone con me potremmo farlo tra 20 anni, no? È facile paragonarmi a qualcuno che sta qui da 20 anni prima di me. Vediamo loro come erano a 37-38 anni? Se invece mi paragoni a imprenditori della mia stessa età a Milano, posso dirti che del nostro livello non ce ne sono”.

C’è qualcosa che non rifaresti?

“No, non credo. Penso che anche gli errori mi siano serviti per crescere”.

Qual è la cosa più bella che ti hanno detto?

“Questo libro sotto alcuni aspetti mi ha dato molto. Ho avuto indirettamente soddisfazioni da persone che attraverso questo libro mi hanno detto cose che non mi hanno mai detto dal vivo. Le interviste ovviamente non le ho fatte io, ma Stefano Genovese, quindi quando le ho lette sul libro, ho visto le persone aprirsi come con me non avevano mai fatto direttamente. Sono molto riconoscente al gruppo di persone che lavorano con me, e ho sempre detto “senza di loro non avrei fatto niente” mentre in questo libro emerge che invece secondo loro io sapevo già tutto e sarei riuscito – magari con l’aiuto di altre persone – ad arrivare qui oggi, anche senza di loro. Questa cosa mi ha un po’ spiazzato, perché sono tutt’ora convinto del contrario. Tutti pensano che io avessi un piano preciso, ma in realtà so solo adattarmi molto bene alle situazioni, e non assolutamente un piano da seguire, ma in compenso sono sempre pronto e reattivo ai cambiamenti. Questo penso che sia un punto di forza importante di Pil, che effettivamente adattandosi alle situazioni cambia ogni 6 mesi…”.

Quali sono le prossime sfide di Carlo Boldrini e di Pil?

“Quelle dei prossimi 6 mesi? Abbiamo in cantiere un progetto per creare un’associazione culturale, uno stabilimento balneare che si chiamerà Pil Love. All’interno ci sarà una libreria di settore, aperta agli imprenditori di moda, agli stilisti, ai designer e agli appassionati. Non è solo mare, non è solo spiaggia, ma è anche cultura e fare del bene, perché parte del ricavato andrà a delle onlus, che stiamo scegliendo in questi giorni. Nel futuro di Pil poi c’è l’estero. Io ho questo pallino degli Usa e ho in mente di portare Pil a New York e Los Angeles… questo è un po’ il mio sogno nel cassetto”.

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