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Home | Teatri di Sanseverino | “La tenerezza”: il cinema che vuole recuperare i sentimenti
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La tenerezza
La tenerezza

“La tenerezza”: il cinema che vuole recuperare i sentimenti

Pubblicato da Mauro Grespini in Teatri di Sanseverino 1,201 Visite

La tenerezza di Gianni Amelio (2017) è il sesto film proiettato per la rassegna cittadina dei “Teatri di Sanseverino”. La pellicola in questione ha vinto il Nastro d’argento come Miglior film, Miglior regista, Miglior attore protagonista (Renato Carpentieri) e Miglior fotografia (Luca Bigazzi). La recensione che oggi vi propongo, la pubblicai nel mio blog lo scorso giugno, poco dopo aver visto per la prima volta quest’opera (https://lentedilettura.wordpress.com/2017/06/11/la-tenerezza-il-cinema-che-vuole-recuperare-i-sentimenti/).

Il film La tenerezza (tratto dal romanzo di Lorenzo Marone, ‘La tentazione di essere felici’, 2015), uscito il 24 aprile scorso, è un raro pezzo del nostro cinema italiano: una delle poche pellicole che mira a sottolineare i sentimenti dei personaggi senza spettacolarizzare le emozioni. Queste ultime sono in ombra: nella storia, emerge la forza del sentimento e la cura che esso richiede per potersi sviluppare appieno. La figura centrale del film è Lorenzo, un vecchio e furbo avvocato napoletano, interpretato da Renato Carpentieri: un attore di altri tempi che sa, grazie al talento e all’esperienza del tempo, come rendere espressivi i propri silenzi quanto i propri monologhi (inoltre, ha già recitato per Gianni Amelio, con Gian Maria Volonté ed Ennio Fantastichini, in ‘Porte aperte’, nel 1990). Il rapporto dell’avvocato con i propri figli (Elena, interpretata da Giovanna Mezzogiorno, e Saverio, interpretato da Arturo Muselli) è distante, a causa di vecchi rancori mai risolti, peggiorati dall’allontanamento, dal silenzio e dalla solitudine (solo con il nipotino, il figlio di Elena, ha un ottimo rapporto). Una solitudine evidenziata nelle passeggiate di Lorenzo per le vecchie vie di Napoli: strette e antiche, che trasudano nostalgia dalle pareti. La vita solitaria del vecchio avvocato viene mutata dall’entrata in scena di una famiglia, originaria del nord Italia, che vive nel suo stesso palazzo: Michela, una giovane moglie (interpretata da Micaela Ramazzotti), il controverso e ambiguo marito Fabio (Elio Germano) e i loro due figlioletti (un maschio e una femmina, proprio come i figli dell’avvocato). Lorenzo entra sempre più in confidenza con questa famiglia, fino a diventare quasi un padre per la giovane donna. Ma tutto ciò non viene raccontato con un plateale stile hollywoodiano, né con affettuose e smielate sequenze: il sentimento di tenerezza che nasce tra i personaggi è quasi impercettibile, costantemente in crescita, ma in maniera lieve e graduale, come un’alba che lentamente sorge. Gianni Amelio, grazie ai silenzi tra i suoi personaggi, i loro sguardi e le loro espressioni, rende così le loro voci: la maturazione è nel silenzio, nell’intimità dei personaggi, il parlato è ridotto allo stretto necessario. Tanto più l’anziano avvocato si affeziona ai suoi vicini, tanto più si allontana dalla famiglia di appartenenza (con il dolore muto della figlia, la quale odia e ama il padre al contempo, come lui odia e ama lei). Psicologicamente, questi vicini di Lorenzo sono una rappresentazione della sua famiglia originale: uomo, donna, figlio e figlia. L’uomo dal comportamento ambiguo è la rappresentazione dell’avvocato, del suo astio nei confronti dei propri (adulti) figli e della (ormai defunta) moglie. Lorenzo rivede in questa famiglia, per la seconda volta, la propria storia sotto un’altra chiave: è la sua seconda occasione, per aprire gli occhi e capire i propri errori. E proprio mentre il percorso dell’avvocato è in piena maturazione, egli subisce l’ultima grande sferzata, dopo l’avvento sconvolgente che porterà la giovane Michela in coma. Nel mutismo del coma di questa sua amata e sconosciuta figlia acquisita (una figura che è moglie e figlia al contempo), Lorenzo troverà il modo di parlare con sé stesso, in un ambiente dove il silenzio è interrotto solo dal rumore dei macchinari ospedalieri. Alla fine, l’avvocato capirà che dovrà recuperare il proprio rapporto con i suoi familiari. La sofferenza di Michela è valsa da sacrificio illuminante per Lorenzo, il quale deciderà di riavvicinarsi, a modo suo e non platealmente (rifuggendo così da ogni retorica hollywoodiana), alla propria figlia. I due si rincontreranno nella piazza del tribunale di Napoli (dove lei lavora): un luogo nuovo, completamente moderno, dove i due si prenderanno per mano, facendoci intendere un nuovo inizio, un tentativo di recupero del loro rapporto. E questo nuovo rapporto non poteva cominciare nelle vecchie strade di Napoli, troppo cariche di rancori e tradimenti, ma solo nel mezzo di questi nuovi, moderni e forse un po’ anonimi edifici. Perché il futuro non è ancora stato scritto e non ha un carattere ben definito, una sembianza specifica, deve ancora modellare la sua forma e costruire la propria personalità: proprio come il nuovo rapporto, appena nato, tra padre e figlia.

Silvio Gobbi

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rassegna cinematografica 2017-12-01
+Mauro Grespini
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