Facciamo il punto sulla situazione dell’ospedale, anche se i dati non lasciano ben sperare. Il vicepresidente del Comitato per la salvaguardia della struttura, l’avvocato Marco Massei, si è detto preoccupato e niente affatto tranquillo. «A differenza di quanto capita di leggere – ha commentato – la situazione non è rosea. Stiamo cogliendo segnali preoccupanti da parte sia degli operatori, sia degli utenti che si rivolgono agli ospedali».
Quali segnali? Innanzitutto la week surgery, che era stata “promessa” all’ospedale di San Severino per compensare la soppressione del punto nascite. «Una compensazione – dice Massei – che sembra più un contentino». Questo perché i numeri (originariamente 20 posti letto, che presto si sono ridotti a 10) non fanno pensare a una struttura che possa essere, come era stato assicurato dalla Regione, un punto di riferimento a livello provinciale.
La considerazione più amara dell’avvocato Massei è scaturita dagli attuali disagi, derivanti – come tutti sappiamo – dallo sciame sismico e dal maltempo. «Non vorrei rinvangare la questione, ma la chiusura dei punti nascita ha causato enormi problemi. Nel 2015 si sono registrati 600 parti a San Severino. Nel 2016, l’ospedale di Macerata ha registrato solo 200 parti in più. E gli altri, allora? Significa che molte donne si sono rivolte o a strutture private, o a ospedali ancora più lontani; magari proprio per i problemi di spazio a Macerata. Ora: è mai possibile che in questa situazione una donna sul punto di partorire, con i disagi creati dalla neve e dal terremoto, debba affrontare un viaggio della speranza per dare alla luce suo figlio? Semplicemente è vergognoso».
Ciò che il Comitato chiede, appellandosi alla morale, è una moratoria, un ritardo nell’entrata in vigore di queste modifiche «penalizzanti».
«Almeno ci si fermi – ha commentato Massei – si aspetti, non si spoglino territori già martoriati. Anche se, certo, ragionando con cinismo tutto assume improvvisamente senso. Queste manovre ai nostri ospedali ci hanno sempre fatto pensare a un tentativo di spopolare le zone montane, dove i servizi costano tanto. Ma mai come adesso, con l’entroterra messo in ginocchio dal terremoto. Anche i moduli abitativi che non arrivano mai rientrano in quest’ordine di cose: anziché far restare le persone nel proprio territorio, si preferisce “deportarle” sulla costa. Invece di aiutare dei soggetti in difficoltà, la politica regionale sembra aver colto la palla al balzo per impoverire ancora di più le nostre montagne. E, alla fine, spingere le persone ad abbandonarle».
C’è poi il discorso della Lumpa, che sta per “lungodegenza e medicina post-acuzie”. Molte realtà sanitarie del territorio, come Matelica e Tolentino, sono state convertite in ospedali di comunità. Per legge, i lungodegenti lì ricoverati avrebbero dovuto essere spostati in strutture di livello superiore, quelle con la qualifica di ospedali di rete. Fra queste c’è anche San Severino. Ebbene, tutto questo non è avvenuto; c’è da domandarsi con quali rischi per la salute dei pazienti.
Per finire, un problema recentemente emerso è quello delle strutture dedicate alla diabetologia. I numeri sono altissimi: parliamo di 10.000 pazienti in cura fra Macerata e Tolentino, più di altri 4.000 fra Camerino, Matelica e San Severino. Quando in Regione si è deciso di accorparne alcune (e stiamo parlando di una manovra che ha coinvolto tutte le Marche) questi centri, in linea di massima, hanno accettato. Con l’eccezione della proposta di unire il centro di Macerata e quello di Camerino, che servono troppi pazienti per essere accorpati senza disagi. «Non importa il luogo, non importa quale delle due sedi verrà scelta – ha chiarito Massei – dovunque si andrà, purtroppo, sarà come scaldarsi con una coperta troppo corta. Ho redatto un documento unitario, per protesta, che è stato inviato alla Regione. Ad oggi non risulta che se ne sia preso atto».
a. r.