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La rassegna al Feronia organizzata dall'Associazione Noa Noa

Feronia, sei cortometraggi per il primo “Imago Film Festival”

Karl Kraus ha scritto: «L’aforisma non coincide mai con la verità, o è una mezza verità o una verità e mezzo». Lo stesso può accadere con i corti cinematografici: delle volte, la loro brevità, rischia di far perdere il senso di completezza di un’opera, lasciando lo spettatore con varie domande senza risposte (cosa vuole dire? Perché è andata così? Come mai il tale aspetto della trama non è stato sviluppato? E via dicendo…). Ma alla prima edizione di Imago Film Festival, organizzata dall’associazione culturale Noa Noa, questo problema non c’è stato. Nella serata di domenica 27 settembre, al teatro Feronia, i sei cortometraggi proiettati hanno risposto ad ogni possibile quesito, senza peccare di incompletezza: sei lavori di natura eterogenea, diversi l’uno dall’altro, capaci di affrontare molti e vari argomenti. La serata è stata scandita da tre omaggi musicali a Ennio Morricone, eseguiti da Filippo Boldrini, Tommaso Zeppillo e Paolo Moscatelli. Inoltre, lungo la serata, tra un corto e l’altro, Federico Dari e Diego Prosperi hanno intervistato i registi presenti in sala.

Parliamo delle opere in concorso.

Ad aprire la proiezione è stato il lavoro di Federica Biondi, Vicini (ispirato al libro “Le femmine sono numeri dispari”, di Francesca Tilio). In una villa immersa tra le colline, una giovane coppia prende in affitto una stanza e deve condividere gli spazi con i padroni dell’edificio. Il proprietario punta sin da subito la giovane protagonista, la brama palesemente. Il ragazzo di lei non comprende la situazione (o fa finta di nulla) e la giovane vive da sola, nella paura, le pesanti insistenze del signore. La sua solitudine è efficacemente rappresentata dalla regista: senza nessun aiuto, in questa villa decadente, subisce, giorno per giorno, la violenza del padrone di casa (con il silenzio assordante della moglie dell’uomo, anche lei vittima degli abusi). La giovane protagonista e la moglie sono due delle tante vittime di violenze sessuali presenti al mondo, e vivono la loro condizione in silenzio, come le formiche, per paura di ritorsioni e di incomprensioni.

Violenza, morte e resurrezione: questi sono i temi del successivo lavoro proiettato, Senza di te, sarebbe stato solo l’angoscia di tutta una vita di Michele Polisano. Un corto denso, ricco di simboli di non facile dimestichezza: spiccano le figure archetipiche del Toro e del Serpente, in lotta con la violenta umanità. Un racconto che vuole rappresentare la storia dell’uomo: un intento tanto coraggioso quanto complesso da portare a termine.

Il coraggio sta anche nel rappresentare una storia intima, capace di toccare i ricordi di tutti, come ha fatto Alessia Gatti con Radici. Una bambina di nome Caroline passa l’estate a casa della nonna, nelle campagne marchigiane. La bambina parla inglese e conosce poco l’italiano, ma ascolta continuamente le storie della nonna, della sua infanzia, della guerra. La ragazzina scopre così le vicende di sua madre, di sua nonna, di suo nonno: entra in contatto con le sue lontane radici. Il rapporto tra la nipotina e la nonna è il simbolo della forza che può nascere quando passato, presente e futuro si mettono in dialogo.

Ma certe volte il passato può essere un macigno tale da impedire un qualsiasi cambiamento nella propria vita, come accade nel cortometraggio La strada vecchia, di Damiano Giacomelli. Il protagonista della vicenda, il giovane Nicola, vende le patate lungo una strada provinciale poco trafficata, prossima al totale abbandono per via della “nuova strada” in costruzione. Nicola è legato a quei luoghi, a quella professione, come incatenato. L’incontro con una donna cambierà qualcosa nel suo intimo, portandolo a riflettere sulla sua situazione. Attraverso i toni della commedia, il lavoro di Giacomelli è un’occasione per capire come la vita ci porti a continui cambiamenti, imparando così a non fare del passato una zavorra.

Il quinto corto è diretto da Simone Corallini e Silvia Luciani, NkirukaIl meglio deve ancora venire. Nkiruka è una ragazza di origine nigeriana, ben integrata in Italia: ha i suoi amici, il suo ragazzo e ama la scuola. È così brava da essere selezionata per uno stage all’estero, ma, purtroppo, non avendo la cittadinanza, il suo viaggio non può avere luogo. È addolorata di non essere riconosciuta alla pari dei suoi coetanei, pur essendo perfettamente integrata: legge e burocrazia hanno un andamento diverso rispetto agli individui. Nella lingua Igbo “Nkiruka” vuol dire proprio che il meglio deve ancora venire, “speranza nel domani”, come il futuro della giovane protagonista: prima o poi, il suo impegno verrà riconosciuto.

A concludere la rassegna, il corto di Giorgio Lombardelli, Tamar. La protagonista è una donna che vive mentalmente una vita sessuale inesprimibile nella vita reale. Un’opera che indaga, con ritmo serrato, le fantasie della giovane: visioni e voglie incapaci di realizzarsi nella realtà, per una serie di compromessi sociali che obbligano a frenare ogni istinto. Tamar trova la realizzazione soltanto nella mente, dove può essere libera di vivere, senza freni, il mondo che non esiste.

Sei lavori, come detto, differenziati l’uno dall’altro, per una rassegna fresca, capace di portare una nuova visione di cinema, alla ricerca di autenticità e originalità. Ogni regista ha ricercato la propria via, il proprio modo di vedere il mondo, rappresentandolo in corti di qualità, condensando in così poco spazio così tante tematiche. Attendiamo con piacere e voglia la futura seconda edizione di questo riuscito Festival.

Silvio Gobbi

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