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Luigi Balducci
Luigi Balducci

1923-2023. Cento anni fa nasceva a San Severino lo scultore Luigi Balducci

di Alberto Pellegrino

Ricorre quest’anno il centenario della nascita di Luigi Balducci, l’artista che, insieme a Ercole Rosa, ha onorato la scultura italiana e che ha attraversato nella sua lunga esistenza tutta la seconda metà del Novecento e il primo ventennio di questo secolo (è scomparso nel 2022), compiendo molteplici esperienze come operaio, emigrante nelle miniere del Belgio, artigiano per approdare infine nel mondo dell’arte.

Le origini. Balducci e l’arte naif

Balducci, dopo la scuola elementare, ha frequentato la “Scuola d’Arte Ercole Rosa”, dalla quale sono usciti tanti validi artigiani del legno e della pietra, agli inizi degli anni Sessanta ha iniziato a scolpire piccoli tronchi d’ulivo e radici d’edera, da cui trarre volti e figure umane, animali e intrecci di forme dettati dalla sua creatività, che in poco tempo si va sempre più sviluppando e manifestando. Lo stesso Balducci ha cominciato a scoprire, quasi con meraviglia, di avere dentro di sé un mondo che vuole manifestarsi all’esterno attraverso il linguaggio dell’arte; la sua personalità, nello stesso tempo introversa ed esplosiva, ha intrapreso un’evoluzione che lo porta a cercare contatti e per lui inediti modi di comunicazione. Ha esordito allora, esponendo le sue opere in mostre locali, ad avere i primi contratti con critici d’arte della nostra provincia; in seguito ha contattato quei critici che si occupano dell’arte naif, una corrente artistica che in quegli anni è abbastanza popolare, per cui agli inizi Luigi è stato etichettato come un autore naif,
Si è trattato comunque di cogliere l’occasione che gli ha aperto le porte di un palcoscenico più vasto, facendolo approdare nel 1969 alla Mostra Internazionale Il Mondo dei naif di Correggio, dove erano esposte le opere di artisti provenienti da tutto il mondo, tra cui alcuni affermati autori italiani, come Ligabue, Metelli e Rovesti. Per Balducci è stata la prima, vera affermazione, perché le sue sculture hanno richiamato l’attenzione del pubblico e soprattutto hanno trovato il consenso della critica. In quella occasione, il critico Dino Menozzi ha scritto: “Le sue composizioni scolpite rivelano e suscitano idee, concetti, emozioni che affiorano dai simboli e che si interrogano a volte con subitaneo stupore, a volte con malcelata ansia. Ma di queste prerogative Balducci non si rende contro coscientemente, perché il suo animo non è aduso alla speculazione del pensiero logico e razionale; perché egli possiede una forte e sicura tempra di artista che gli permette di celare nella materia le interiori risorse di una vita bonaria ma anche sofferta, gli aneliti verso una comunità più giusta e più umana”.

L’evoluzione artistica di Balducci

Questo giudizio certamente positivo non rifletteva però la vera personalità di questo artista che, alla fine degli Sessanta, stava subendo una profonda trasformazione interiore e una rapida evoluzione, mettendo in evidenza una capacità di pensiero, una spinta a razionalizzare e a trasformare in forme scultoree le pulsioni interiori filtrate attraverso una elaborazione intellettuale che porterà Balducci ad allontanarsi definitivamente dal mondo naif (chi scrive è stato tra quelli che lo hanno spinto a percorrere nuove strade). Contrariamente al giudizio espresso dalla critica precedente, Balducci non è stato un autore naif, perché ha maturato e fatto emergere una personalità complessa e una irrequieta creatività che lo hanno spinto a cercare nuovi materiali e nuove tecniche, le quali gli hanno consentito di creare opere che il legno con gli permetteva più di realizzare. Da quel momento, egli non ha più posto limiti alla sua galoppante fantasia, ha cercato di trasmettere messaggi capaci di arrivare alla radice della passioni umane. Si è proposto di scavare e d’incidere la materia per interpretare liberamente la voce che gli arrivava dalla natura in modo da tradurla in qualcosa di più alto e complesso; ha sentito il bisogno di liberarsi di certi primitivi stilemi per trovarsi in sintonia con i percorsi tracciati dalla scultura “colta” del secondo Novecento italiano e soprattutto con le figurazioni proposte dal grande scultore franco-romeno Constantin Brancusi (non a caso qualche critico lo ha definito il “Brancusi italiano”).
Così, dopo avere fatto alcuni esperimenti con il tufo che è risultato essere una materia troppo fragile e malleabile per il suo vulcanico temperamento, ha scovato nelle campagne di San Severino pietre durissime scavate e dilavate dal tempo, dalle calde tonalità dell’avorio o dal più drammatico colore grigio. Ha cominciato a lavorare questa materia a grandi colpi di mazza e scalpello in una lotta quotidiana ingaggiata per tradurre in forme e in idee una materia restia a farsi modellare. Alla pietra ben presto si è aggiunto il bronzo che consentiva all’autore di realizzare opere più impegnative e di grandi dimensioni.
Questo nuovo patrimonio di opere lo hanno portato ad esporre in mostre importanti come il Festival dei due Mondi di Spoleto, la VII e l’VIII Mostra Internazionale della Scultura all’aperto nel Museo d’Arte Moderna di Legnano, ad entrare in alcune collezioni private, a ricevere committenze pubbliche per opere da collocare in diverse città, a richiamare l’attenzione di una più vasta cerchia della critica. Il critico d’arte Nevio Jori, che per primo l’aveva introdotto negli ambienti naif, si accorge immediatamente della rinnovata fase creativa che sta attraversando Luigi Balducci e sottolinea così questo fondamentale passaggio artistico dello scultore settempedano, mettendone in risalto il suo tormento interiore : “Solo chi non accetta l’arte come gioco, ma come sublimazione del naturale in sé perché continua contrapposizione tra il reale e il metafisico, fra il naturale e il surreale per trarre metamorfosi del pensiero fatto forma, dello spirito che plasma cose per fermarle nello spazio, nel tempo, nell’anima del prossimo, ha dubbi e tormenti”.
Quella che può apparire una contraddizione nella produzione di Balducci, costantemente divisa tra i richiami alla realtà figurativa e la necessità di creare delle forme che scaturivano dall’urgenza della sua fantasia, ha trovato al contrario una sintesi in una evidente coerenza stilistica e nella profonda umanità di un artista che ha sempre creduto nei valori dell’individuo e della famiglia, dell’amore per la donna e in un’innata se pur originale forma di religiosità: Luigi Balducci è stato sempre sensibile ai drammi, alle aspirazioni, alle conquiste, alle crudeltà e agli slanci generosi dell’umanità del nostro tempo; ha sempre cercato e voluto dare una risposta ai tanti problemi presenti negli uomini e nelle donne, ai molteplici fenomeni della storia contemporanea.
Queste sono state le due anime che hanno convissuto in Balducci uomo e scultore. Da un lato, ha usato la pietra, il legno o il bronzo che creare volti o figure di donne e di uomini, immagini che hanno una loro intrinseca sacralità, che hanno colpito la sua sensibilità di uomo immerso nel quotidiano e impegnato a decifrare la realtà che lo circonda. Dall’altro, è penetrato nell’intimità della materia per trarne forme astratte germogliate sotto l’urgenza della sua fantasia; sono nate così visioni oniriche che derivavano dagli stimoli profondi dell’inconscio; affascinanti spirali, blocchi di vuoti e di pieni, suggestive forme che ruotano intorno a un unico asse nel rispetto nel canone classico della scultura a tutto tondo da scoprire nelle sue molteplici facce: tutte opere legate da un unico filo connettivo, da un comune linguaggio capace di creare messaggi che, partendo dalla materia contenuta in Natura, riescono ad arrivare fino all’uomo.

Opere di Balducci esposte nella Pinacoteca comunale

Balducci uomo di pace

Nei discorsi di Balducci la parola “pace” è stata sempre presente legata a un istintivo orrore per la guerra con la sua carica di violenza e di odio, con il cumulo di uccisioni e distruzioni che essa provoca inevitabilmente. Questa dicotomia “pace-guerra” si spesso tradotta in diverse sculture, in particolare in alcune figure di “guerrieri” che si sono succedute nel tempo, segnando le tappe di uno stile che si andava progressivamente trasformando e raffinando. Agli inizi si è trattato di figure a piedi o a cavallo emerse con forza da una radice o da un tronco, esseri senza volto oppressi e quasi schiacciati da pesantissimi elmi. In seguito, quando Balducci ha deciso di mettere mano alla pietra, è nata una grande testa di guerriero dall’elmo enorme e dal volto corroso, quasi divorato da un’intima violenza. In un secondo momento ha creato una figura intera di guerriero (alto un metro e cinquanta) con un corpo scomposto in forme quasi astratte a sottolineare una scelta che va al di là dell’umano: è rimasto l’elmo enorme che grava sul capo del guerriero e che con la sua mole sovrasta tutta l’opera, un elmo concepito come segno tangibile di una tracotanza bellica; al di sotto di esso un grande occhio appare come un faro mostruoso pronto a scrutare e a colpire il mondo circostante pronto per ghermirlo come un animale da preda. In questo essere, che ha scelto la violenza come ragione di vita, appare qualcosa della macchina, una forma che ricorda le mascelle di una benna pronta a stritolare tutto quello che incontra sul suo cammino.

Un’opera di Balducci di Balducci collocata nel giardino della Scuola Media di San Severino

In tutte le opere, dedicate da Balducci al tema della guerra e della pace, è presente una simbologia che vuole essere un’accusa al militarismo e all’aggressività di tipo nazionalistico decisi a trasformare l’individuo nell’ingranaggio di una macchina finalizzata a produrre massacri e distruzioni. Secondo l’autore, la guerra per i potenti della Terra continua a essere uno strumento usato per risolvere i problemi del mondo e per questo “la guerra – dice Bertolt Brecht – cresce dalla loro pace/come un figlio dalla madre/Ha la faccia/i suoi lineamenti orribili”. Per gli uomini e le donne, che invece vivono nelle case e nelle città, la pace è un patrimonio da conquistare e da difendere nella propria coscienza e nelle società d’appartenenza. Questo è la denuncia e il messaggio che Balducci ha trasmesso con queste opere direttamente rivolte all’anima umana.

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