di Alberto Pellegrino
Giorgio Zampa (1921-2008) è stato un raffinato ed eclettico uomo di cultura capace di spaziare in tutti i campi del sapere umanistico. Dopo la laurea in scienze politiche (1942) e la laurea in filosofia (1949), è stato titolare fino al 1996, della cattedra di Lingua e cultura tedesca nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Firenze, di Lingua e letteratura tedesca nell’Università di Urbino. A Firenze ha modo di conoscere Eugenio Montale, al quale rimarrà legato per tutta la vita da profonda amicizia, divenendo il più qualificato e acuto commentatore di tutte opere del grande poeta. Sempre a Firenze ha iniziato l’attività giornalistica nelle riviste Letteratura e arte contemporanea diretta da Alessandro Bonsanti e Paragone diretta da Roberto Longhi. Ha poi collaborato con Il Mondo, L’illustrazione Italiana, La fiera letteraria, L’Espresso e Panorama. Ha lavorato come inviato speciale e critico letterario per Il Corriere della Sera dal 1952 al 1963; come critico letterario e capo redattore della “Pagina dei libri” de La Stampa di Torino dal 1963 al 1970; infine è stato redattore, inviato speciale e critico letterario di Il Giornale Nuovo fondato da Indro Montanelli.
Il traduttore e il saggista
Come germanista per decenni ha dato un contributo determinante, attraverso articoli e pubblicazioni varie, alla conoscenza letteratura tedesca in un clima poco recettivo nei confronti della cultura germanica. Suoi contributi fondamentali non sono state soltanto alcune esemplari traduzioni, ma saggi riguardanti in particolare di Rainer M. Rilke, Hugo von Hofmansthal, Franz Kafka, Thomas Mann, Robert Musil, Arthur Schnitzler e Peter Weiss. Alcuni fondamentali contributi critici sono stati raccolti nel volume Rilke Kafka Mann, Letture e Ritratti tedeschi (De Donato Editore, 1968). Zampa è stato membro delle giurie del Premio Pirandello, del Premio Strega, del Premio Campiello; è stato consulente scientifico d’importanti case editrici italiane; ha curato l’edizione delle Opere complete di Eugenio Montale (1996); ha scoperto e curato la pubblicazione del romanzo Giù la piazza non c’è nessuno (1997) e della altre opere di Dolores Prato, un’autrice treiese di notevole valore fino ad allora del tutto sconosciuta.
L’impegno culturale
Nei confronti di San Severino Marche, la sua città natale, ha avuto il merito di creare la Fondazione Salimbeni per le Arti Figurative, di cui stato presidente fino al 2001; nonché l’ideatore e l’animatore, insieme con Federico Zeri, del Premio Salimbeni per la Storia e la Critica d’Arte, un prestigioso premio a livello internazionale unico nel suo genere, che ha consentito di raccogliere nel tempo un prezioso patrimonio di pubblicazioni d’arte. Ha manifestato tutta la sua passione per la città dove è nato e per le Marche nelle due pubblicazioni Il cuore della Marca (1979) e Quei Monti azzurri (1980), dove i suoi testi sono stati accompagnati dalle immagini del grande fotografo Pepi Merisio. Sulla sua attività di saggista è stato scritto: “Acuto e sensibile studioso di letteratura contemporanea, ha curato una delle più rigorose edizioni montaliane (1984) e restano insostituibili le sue traduzioni di Kafka, Rilke, Musil ed i suoi contributi critici alla conoscenza del mondo mitteleuropeo. Collabora con diverse riviste e con i più importanti quotidiani nazionali con interventi dai quali, oltre ad emergere la complessa ricchezza della sua cultura letteraria, traspare a volte la classica compostezza idillica, una lezione di stile e di esistenza appresa dalla terra d’origine”. (F. Ciceroni-V. Volpini, Le Marche tra parola e immagine. Autori marchigiani del ‘900, Federico Motta, 1996, p.147).
Giorgio Zampa il critico teatrale
Voglio approfittare della posa della lapide commemorativa per lettere in luce un aspetto della personalità di Giorgio Zampa poco nota o comunque trascurata. Si tratta della sua passione per il teatro, della profonda conoscenza e capacità analitica di tutta la letteratura teatrale, dell’avere impegnato le sue grandi qualità di traduttore per portare in Italia opere teatrali ancora sconosciute e poco note. Nei nostri incontri settempedani, quando mi onorava della sua amicizia (anche se il mio era un rapporto tra discepolo e maestro), parlavamo della comune passione soprattutto per il teatro medioevale e per i contemporanei Peter Weiss e Bertolt Brecht. Abbiamo condiviso l’amore verso il nostro Teatro Feronia e vissuto insieme la visita del grande regista Virginio Puecher.
Giorgio Zampa ha ricoperto l’incarico di critico teatrale nella rivista Il Dramma, nei quotidiani La Stampa e Il Giornale. Nel 1967-1968 è stato il critico teatrale per La fiera letteraria con una serie di articoli raccolti in Le quattro stagioni (De Donato, 1969). Dalla lettura di questo volume emerge tutta la sapienza teatrale di Giorgio Zampa, che dimostra di saper affrontare ogni argomento, di saper analizzare ogni testo, partendo proprio dai classici: Plauto (Asinaria e Il Vantone, tradotto da Paolini); Euripide (Le Baccanti), mettendo in risalto la difficile “lettura” di quest’opera “non a torto definita il testamento di Euripide” in tutte le sue sfaccettature antropologiche, psicologiche, filosofiche, religiose, senza mai eccedere altrimenti si rischierebbe di “privare l’opera della sua vita più ardente e segreta, di impoverirne la poesia che vi fluisce ininterrotta, riducendola a un contrasto fra hybris e ragione”. Parla degli autori del Rinascimento: Giordano Bruno (Il candelaio), Ruzzante finalmente tratto dal limbo del teatro dialettale per darle la dimensione nazionale che merita con Moscheta, L’Anconetana, Il Parlamento, Bilora, Menego, Pastoral, Vaccària; è presente anche Goldoni, stella indiscussa del nostro teatro settecentesco.
Naturalmente non poteva mancare il grande Shakespeare con Misura per misura, Falstaff e soprattutto Il Mercante di Venezia, per il quale Zampa rivendica il ruolo di protagonista per Antonio e Porzia, considerando Shylock, un personaggio di secondo piano anche se interessante per una sua duplice possibilità di lettura: come “ebreo squittente, pavido, feroce quando si sa immune da ritorsioni”, oppure come “individuo offeso, disprezzato, fatto oggetto di prevaricazioni, che non può difendersi per non attirarsi guai peggiori”.
Per quanto riguarda il teatro contemporaneo (siamo alla fine degli anni Sessanta) affronta e commenta gli autori del nuovo teatro inglese (Tom Stoppard, Harold Pinter, John Osborn); elogia Albert Camus per quel suo Malinteso, un testo derivazione junghiana in linea con il migliore teatro francese, nel quale i personaggi sono alla mercé di una Entità superiore, un manipolatore muto, sordo, indifferente, estraneo misterioso che lascia i protagonisti “senza possibilità di salvezza”. Non mancano autori italiani come il grande Pirandello, Marinetti e il suo teatro futurista, Diego Fabbri, il Pier Paolo Pasolini di Orgia (1968), opera al cui allestimento dedica una lunghissima recensione, nella quale analizza con chirurgica precisione quanto accade sul palcoscenico nel Primo Tempo (Scena prima, seconda e terza) e nel Secondo Tempo (Scena prima, seconda e terza), un contributo che rimane ancora fondamentale per chi voglia comprendere meglio quel complesso dramma pasoliniano.
Un posto privilegiato occupa il teatro contemporaneo in lingua tedesca, cominciando dagli adattamenti teatrali da Kafka Il processo e La metamorfosi, per arrivare ai nuovi autori Max Frisch e Durrenmatt, la cui commedia I fisici contiene, dietro un impianto comico, “un messaggio altissimo, oltre che un numero eccezionali di implicazioni”, offrendo al pubblico una seria meditazione sul pericolo nucleare; compaiono poi Peter Weiss (come si vedrà autore seguito con particolare attenzione) e la novità assoluta di Il vicario, il discusso e polemico dramma storico di Hochhuth sul rapporto tra il papa Pio XII e il nazismo, oggetto di feroci dibattitti in tutto il mondo.
Naturalmente non poteva mancare l’amato Wolfgang Goethe. La prima recensione riguarda Ifigenia in Tauride, secondo la prima stesura del 1779, scritta in “quella prosa solida, rapida, calda, ritmata” che fa di questa eroina classica una “soave, fiera, risoluta, melodiosa, impareggiabile Ifigenia!”.
Rivolge poi la sua attenzione al Faust I, che viene spesso messo in scena per esaltare il rapporto del protagonista con Mefistofele e con Margherita, mentre Zampa sottolinea che Goethe ha sempre pensato al Faust II come a una parte integrante del primo e come una necessaria rappresentazione in forma drammatica. Certamente, dice Zampa, il “Faust II è un’opera difficile, non di rado impervia, e quindi impopolare. Il procedere parallelo, il sovrapporsi e l’incrociarsi di due prospettive, l’individuale, relativa all’esistenza storica di Faust, e l’universale, che nella vita del protagonista coglie il riflesso di leggi cosmiche; la quantità ed eterogeneità della materia; l’impiego, se si vuole l’abuso di simboli e allegorie; la mancanza di nessi apparenti tra atto e atto; la varietà delle forme metriche e strofiche: rendono questa parte della tragedia d’intelligenza non agevole e scoraggiano a portarla sulla scena”.
Questa titanica impresa è stata affrontata nel 1967 dal regista Ernst Schroder, dello “Schiller Theater” di Berlino Ovest, il quale ha allestito uno spettacolo destinato a restare memorabile: la rappresentazione del Faust II con tutti i suoi cinque atti, per cinque ore di spettacolo, con una folla di attori e con frequenti cambiamenti di scena, in modo da farne “risaltare la struttura, e non rinunciare a nulla di essenziale, non eseguire mutilazioni che compromettessero l’integrità dell’opera”.
A sua volta Giorgio Zampa si è confrontato con il Faust, quando nell’ottobre 1969 il regista Virginio Puecher (1926-1990) ha allestito lo spettacolo nel Teatro Olimpico di Vicenza, in occasione del XXIV Ciclo di spettacoli classici, con l’interpretazione di Valentina Fortunato, Ivo Garrani e Giancarlo Sbragia. Nella sceda di presentazione dello spettacolo è stato scritto: “Un allestimento del Faust da anni caldeggiato negli ambienti teatrali italiani; del capolavoro di Goethe si dava la primitiva stesura del Urfaust, nella nuova versione di Giorgio Zampa, mai rappresentata in Itali. La qualità degli attori e della regi, l’originalità della traduzione, avvertita delle origini medioevali del faustismo e dei legami di questo Goethe giovanile con il Puppenspiel, contribuivano a fare della prima dell’Olimpico un avvenimento d’eccezione e di vasta risonanza presso gli organi d’informazione dell’opinione pubblica, sottolineato dagli apprezzamenti della critica di maggior conto”.