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Jean-Luc Godard
Jean-Luc Godard

Addio a Jean-Luc Godard, il regista della Nouvelle Vague

Il regista della Nouvelle Vague, il franco-svizzero Jean-Luc Godard, è morto all’età di 91 anni. Di seguito un articolo di Silvio Gobbi sull’impronta che ha saputo imprimere nella storia del cinema.

“Due o tre cose” su Jean-Luc Godard, il regista che ha scardinato i canoni classici della narrazione cinematografica, facendo della decostruzione uno degli aspetti principali del suo cinema: da Fino all’ultimo respiro (1960, “Orso d’argento per il miglior regista”) a Le livre d’image (2018, “Palma d’oro speciale”), ogni sua opera, a prescindere dal soggetto trattato, è un grande gioco con il linguaggio. Inquadrature prima impensabili, stacchi repentini alternati a sequenze più statiche, dettagli enfatizzati, narrazione irregolare: Godard vedeva il cinema come un grande puzzle dagli infiniti pezzi. Ma, mentre un puzzle classico ha un preciso ordine per incastrare correttamente i suoi tasselli, il puzzle cinematografico di Godard era continuamente modificabile, ricomponibile in più combinazioni di immagini, con scritte e suoni ogni volta differenti e non convenzionali.

Insieme ad altri registi (come François Truffaut ed Éric Rohmer), egli ha dato vita alla Nouvelle Vague, il nuovo cinema francese nato verso la fine degli anni Cinquanta ed esploso nei Sessanta, il periodo più prolifico e innovativo della sua produzione. Il cinema della nuova generazione, fatto con mezzi di fortuna, a basso costo, con sceneggiature quasi inesistenti, immerso nella realtà, tra le strade ed i piccoli appartamenti, quello spaccato di vita che i vecchi film non potevano rappresentare: lungometraggi con ragazzi e ragazze alle prese con le contraddizioni delle loro vite, i loro dilemmi intimi che gli adulti non potevano immaginare né indagare, l’epoca dei «figli di Marx e della Coca Cola». Con La cinese (1967), Godard entrò nel periodo del cinema militante, fondando (nel 1969) il collettivo cinematografico Dziga Vertov, ma la fase sfacciatamente politica non durò a lungo, perché né i film né l’arte sono volani della rivoluzione, e dalla metà degli anni Settanta il regista optò per un cambio di registro. Il suo film del 1983, Prénom Carmen, vinse il Leone d’oro e successivamente Godard diede scandalo con Je vous salue, Marie (1985), un lungometraggio che infiammò il mondo cristiano di tutto il mondo, tanto che si espresse contro l’opera il cardinal Carlo Maria Martini e papa Giovanni Paolo II presiedette ad un rosario di espiazione.

Godard si è sempre spinto oltre, nella regia come nelle tematiche, fregandosene di compiacere gli altri, il suo modo di vedere (e volere) il cinema è venuto prima di ogni altra cosa. Il suo carattere difficile e sprezzante lo ha portato a tanti scontri (ricordiamo, tanto per dirne una, l’aspra lite tra lui e Truffaut), e la ha condotto a girare opere ormai storiche, influenzando generazioni di registi (come Bernardo Bertolucci, Martin Scorsese e Leos Carax). Verso la fine della sua vita, ha partorito Addio al linguaggio (2014) e Le livre d’image, lavori di pura sperimentazione visiva, quasi videoarte, a più di ottant’anni d’età: si è congedato con due opere di difficile inquadramento, complesse da afferrare, ma cariche di una voglia di ricerca che traspare da ogni scena, una sfrontatezza visiva spesso carente anche nei più giovani autori. Non tutti i registi possono vantare una carriera simile, né una conclusione di questo tenore, e, all’età di novantuno anni, Jean-Luc Godard ha deciso di dire «fin de cinema».

Silvio Gobbi

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