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Un eroe
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La recensione del film “Un eroe”, di Asghar Farhadi

Rahim Soltani è in carcere per un debito che non può saldare. Gli vengono concessi due giorni di libera uscita per buona condotta e la sua attuale compagna, Farkhondeh, gli propone di vendere delle monete d’oro da lei trovate, per caso in strada, perché lui possa raccogliere il denaro necessario per pagare il debito. Ma le monete non bastano e così l’uomo decide di far girare un annuncio, affinché il vero proprietario possa riaverle. Una donna reclama le monete perdute, dimostra di esserne la proprietaria e le riprende: Rahim viene acclamato come un eroe, perché ha fatto la “cosa giusta”, ma questa sua azione, inaspettatamente, innescherà una serie di ineluttabili eventi avversi per il povero uomo.

Con Un eroe, Asghar Farhadi ritorna a girare in Iran, e viene premiato con il “Grand Prix speciale della Giuria” al Festival di Cannes 2021, confermando un fatto fondamentale: l’autore dà il meglio di sé ogni volta che ambienta una storia nei luoghi delle sue radici. La vicenda di Rahim si combina perfettamente con i precedenti lavori in terra persiana, come, per esempio, Una separazione (2011) e Il cliente (2016). Questo ultimo “eroe” sventurato vive un episodio circolare, parte e finisce nello stesso punto: alla fine della corsa, i suoi problemi non sono per nulla risolti, ma, anzi, ampliati e contornati da nuove sfumature e disagi, come accade ai protagonisti delle precedenti opere del regista. Narrando la triste avventura di questo personaggio, Farhadi si addentra in un una storia che annulla il concetto binario di “buoni e cattivi”, un racconto di bontà e fiducia malriposta, di impossibilità di salvezza, dove la verità è sempre parziale, mai totale né afferrabile: la vita di Rahim è una continua salita, non raggiunge mai la cima, come intuiamo sin dall’inizio del film, quando l’uomo sale un’infinità di scale per andare a trovare il cognato in cantiere; la scalata sembra non finire mai, come le sue successive disavventure.

Con una sceneggiatura scritta con precisione millimetrica, attenta ad ogni dettaglio dei protagonisti, la narrazione è costellata da mirati e ben calibrati colpi di scena: gli eventi sono così disgraziati, ma altrettanto ferocemente plausibili, da non stonare mai. Tutto è così dannatamente naturale da disarmare chi guarda. Rahim è un uomo che ha commesso i suoi errori, paga per le sue contraddizioni, quasi nessuno ha più fiducia in lui, ma egli continua ad averne per chiunque gli sia vicino: ha una speranza inesauribile, sincera e senza retorica. Pur di fare la cosa giusta, Rahim protegge chiunque cerchi di aiutarlo (anche chi commette dei grossi errori a danno della sua persona); per non screditare chi gli dà una mano (anche gli opportunisti carcerieri), cerca sempre un equilibrio, impossibile e deleterio, tra verità e bugie. Un eroe unisce una vicenda universale (la difficoltà di un galeotto nel riscattare la propria vita è un tema caldo ovunque) alle peculiarità della complessa realtà iraniana, senza che lo sfondo sociale assorbi né annulli la figura del protagonista: un malcapitato, fondamentalmente di animo buono, costretto a vivere una serie di infausti eventi. Sciagure possibili in ogni luogo, dal problematico Iran ad ogni parte del mondo.

Silvio Gobbi

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