Nell’immaginaria città di Clerville, verso la fine degli anni Sessanta, il famigerato “Diabolik” semina il panico con i suoi efferati furti. L’ispettore Ginko cerca ossessivamente di catturarlo, ma il criminale è sempre un passo avanti, grazie al suo immenso ingegno. Un giorno, in città arriva Eva Kant, ricca ereditiera dal passato oscuro, in possesso di un prezioso diamante rosa: Diabolik tenterà di rubarle il gioiello ed incontrerà così la donna, e tra i due nascerà una forte intesa. Così forte che, quando il criminale verrà catturato dalla polizia, Eva si organizzerà per tentare di farlo evadere dal carcere.
Diabolik di Antonio e Marco Manetti è il secondo film che omaggia il fumetto creato dalle sorelle Giussani negli anni Sessanta (il primo fu il cult di Mario Bava, del 1968). Tutti conosciamo la poliedricità di questi fratelli registi: da Zora la vampira a L’ispettore Coliandro, fino al musical Ammore e malavita, i due hanno spaziato tra commedia, orrore, thriller e canzoni, contaminando le loro pellicole con una variegata gamma di generi e commistioni differenti, nel segno della passione e dell’eclettismo. Con la loro versione di Diabolik, i Manetti Bros danno corpo ad un fumetto vivente, dove ogni inquadratura ricorda le pagine dei giornaletti: gli inseguimenti, i primi piani, l’utilizzo dello split screen, i rumori dei coltelli lanciati, tutto è in funzione della rievocazione delle famose tavole di Diabolik. Non è la comune trasposizione cinematografica di un fumetto, ma un vero fumetto che diventa film: le citazioni “fumettistiche” nella filmografia dei Manetti non sono una novità (ad esempio, nella serie di Coliandro, vediamo svariati lanci di oggetti che ricordano l’universo dei comic), ma Diabolik è l’occasione più ghiotta per i registi di enfatizzare, dall’inizio alla fine di un unico lungometraggio, il linguaggio tipico dei fumetti (riuscendoci pienamente).
Inoltre, non c’è alcun cedimento sulla struttura originaria dei personaggi: Diabolik è freddo, calcolatore, astuto, con un lato umano che viene fuori soltanto in presenza di Eva; Ginko è acuto, onesto, con un perenne sguardo malinconico perché non riesce a prendere il delinquente; Eva è più empatica del suo amante, ma sa essere pragmatica, lucida e astuta tanto quanto il suo uomo (anzi, lei diventa fondamentale per salvarlo). In buona sostanza, l’universo di Diabolik rimane lo stesso che ha appassionato migliaia di lettori: con una recitazione molto calibrata, posata, una perfetta ricostruzione degli ambienti, particolareggiata fin nei più piccoli oggetti, questo Diabolik è un’opera fedele alle sue origini, capace di omaggiare efficacemente il ladro più famoso del mondo dei fumetti.
Silvio Gobbi