Nell’immaginaria città francese di Ennui-sur-Blasé, ha sede il “The French Dispatch”, un supplemento domenicale del quotidiano statunitense “The Evening Sun”, della città di Liberty (Kansas). Fondatore e direttore di questa stampa settimanale è Arthur Howitzer Jr, il quale ingaggia i migliori giornalisti dell’epoca per raccontare, con stile e qualità, gli eventi del paese. Alla sua morte, la testata chiude. Il numero finale contiene il necrologio del direttore e la raccolta dei migliori pezzi scritti negli anni, tra i quali: la storia d’amore tra un pittore galeotto e la sua secondina; il racconto della contestazione studentesca; la storia di un giornalista partito per intervistare uno chef e ritrovatosi, invece, a raccontare il rapimento del figlio di un commissario di polizia.
The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun, semplicemente noto come The French Dispatch, è l’ultimo film di Wes Anderson, presentato in concorso al Festival di Cannes 2021. Un film sul giornalismo del passato (alla fine dell’opera, c’è una dedica ai giornalisti “storici” del “The New Yorker”) che celebra l’arte del racconto: Wes Anderson ci ricorda che lo stile non è solo forma, ma un contributo fondamentale al contenuto stesso.
Infatti, egli è da sempre un regista meticoloso, tanto che le sue accurate ambientazioni sono diventate una firma di riconoscimento. Ed in questo ultimo lavoro, l’immagine la fa da padrona più che mai: una moltitudine di inquadrature simmetriche; bianchi e neri che contrastano con scene coloratissime; scenografie ultra dettagliate; movimenti di macchina con carrellate da perdere il fiato; tanti primi piani, tante profondità di campo. In questo “dispaccio cinematografico”, come in un vero settimanale di approfondimento che si rispetti, ci sono tanti temi e registri possibili: cronaca, politica, arte, cucina, storia e via dicendo. Ma fondamentali per i pezzi del “French Dispatch” sono gli sguardi degli autori, il loro taglio narrativo: colui che guarda influisce su ciò che racconta. Il coinvolgimento emotivo che si ha quando si vive un evento diventa difficile da tenere a bada quando bisogna trascrivere i fatti: ogni volta che si va al di là della semplice nota informativa, è inevitabile perdere la cosiddetta “neutralità del cronista”. Così facendo, i giornalisti-protagonisti dell’opera diventano dei veri registi, e le loro impressioni arrotondano e arricchiscono ulteriormente i concitati episodi: lo sguardo del giornalista influenza la narrazione senza travisarne i fatti, enfatizza alcuni tratti rispetto ad altri facendo riconoscere la propria voce (la stessa voce che un regista come Wes Anderson non manca mai di tirare fuori).
The French Dispatch, opera dalle immagini strabordanti e fitte come gli interminabili dialoghi presenti, è un film di poesia da rivedere più volte per comprendere al meglio ogni sfumatura, ogni citazione cinematografica. Un lungometraggio ricco di figure che cela, all’interno del suo barocco involucro, una punta di nostalgia, una sorta di amarezza nei confronti del prosaico mondo reale, dove ormai non esistono più fantasie né passioni.
Silvio Gobbi