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Adriano Crocenzi e Paolo Gobbi
Adriano Crocenzi e Paolo Gobbi

La mostra: Paolo Gobbi e Adriano Crocenzi, dialogo tra artisti

Dopo l’inaugurazione, lo scorso 5 giugno, della mostra Come funamboli sul filo sospesi, riportiamo i pensieri dei protagonisti: Paolo Gobbi e Adriano Crocenzi. Come sappiamo, nelle sedi del Palazzo della Ragione Sommaria e della Chiesa della Misericordia, sono presenti le opere dei due artisti.

Crocenzi espone tutte sculture inedite, realizzate tra il 2020 e 2021, dove la ricerca di stampo informale è caratterizzata dall’uso di “filamenti ferrosi” e grovigli che si combinano con altre materie, come la pietra, il bronzo o le paste vitree. Gobbi, invece, esibisce gruppi di lavori pittorici ben distinti, eseguiti tutti tra il 2017 e 2021: lavori volti alla creazione di “reperti visivi” tratti da un passato recente, con un’evidente derivazione dalle avanguardie artistiche del Novecento.

Ora diamo la parola ai due autori, affinché illustrino il lavoro da loro realizzato.

Paolo Gobbi: «Adriano mi incitava da tempo a realizzare una mostra qui a San Severino, dove non esponevamo insieme da molto tempo. I nostri percorsi professionali sono puntellati di appuntamenti in comune, sia a San Severino che in altre città, ma, come accade spesso, abbiamo anche intrapreso strade diverse. Pertanto, quando è arrivato l’invito dall’Amministrazione comunale ad esporre nella stessa mostra, abbiamo accettato subito con grande piacere. Anche perché, vista la particolare situazione personale di Adriano, e quella collettiva in generale – prima il terremoto, poi il Covid-19 – in cui tutto ciò si è sviluppato, questa mostra si è trasformata in un “sostegno” per compensare, per sconfiggere un vuoto. Un vuoto, appunto, visto sopra un filo sospeso! Parlo in prima persona, ma sono sicuro di interpretare anche il pensiero di Adriano».

Adriano Crocenzi: «Vero. Infatti, ho cercato di colmare il mio “vuoto” individuale realizzando le sculture con grovigli di rottami di metallo recuperati dal vuoto del mio laboratorio, abbandonato anche a causa della mia salute. Ho utilizzato materiale di ogni genere per i miei lavori qui esposti, anche i tondini di ferro che mi hai dato a ottobre dell’anno passato. Ho usato pure alcuni pezzi di una colonna in pietra di un vecchio lavoro e altri materiali, come le paste vitree, che usavo nella produzione orafa. Alla fine, è come se avessi fatto una sorta di scavo archeologico: solo che i reperti archeologici, solitamente, sono testimonianze di un passato molto remoto, mentre le sculture da me realizzate sono evocative dell’attualità, o al massimo di un tempo recente più vicino a noi».

Paolo Gobbi: «In effetti il tuo lavoro è vicino alle mie “testimonianze” di segni contenute nelle cartelle d’archivio che ho utilizzato nella composizione al centro della navata della Misericordia, e anche nel libro Macerie del 2018, composto da 33 pagine di materiali tutti differenti tra loro e collocato sull’altare, sempre alla Misericordia».

Adriano Crocenzi: «Sì. La sensazione di non-finito che le mie sculture possono trasmettere, non saprei dire se volontariamente decisa o inconsciamente applicata, o tutte e due insieme, è una caratteristica importante che si avvicina molto alle pagine “sbeccate” o “non finite” del tuo libro d’artista».

Paolo Gobbi: «Un’evidenza che mi piace sottolineare, per me considerevole, è nei testi critici del catalogo, dove il grande valore che do al linguaggio della pittura, attraverso le mie personali declinazioni, con i naturali debiti nei confronti delle avanguardie artistiche, viene ben esplicitato in tutti gli scritti. Il confine molto indefinito tra realtà e finzione in cui la mia pittura si presenta, viene impresso, a volte, su supporti di materiale di recupero come vecchie cartelle, legni o altre materie che non sono nate per questa pratica, come il mailor, usato soprattutto nel disegno architettonico, che ho utilizzato nella serie dei nove dipinti esposta alla Misericordia».

Adriano Crocenzi: «Anche secondo me il catalogo è ben curato. Il riferimento a Edgardo Mannucci a proposito del mio lavoro, è molto pertinente. L’ho conosciuto personalmente in Accademia, a Macerata, nei primi anni Ottanta, quando era già da più di tre decenni uno degli autori italiani più importanti della scultura informale, anche se conoscevo già parte della sua produzione artistica prima di iscrivermi. In conclusione direi proprio che la mostra possa considerarsi, lo credo decisamente, ben riuscita e rappresenta un punto di sintesi finale, ma non definitivo, della produzione di noi due».

Silvio Gobbi

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