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Stardust Memories
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Woody Allen e i quarant’anni del film “Stardust Memories”

Woody Allen ha da poco compiuto ottantacinque anni, ed il suo film, Stardust Memories, ne ha ormai quaranta. Uscito nel 1980, è uno dei suoi lavori più discussi, capace di separare il pubblico tra chi lo odia fortemente e chi, invece, ne riconosce il valore. Una commedia dalle venature drammatiche ed esistenziali, dove è palesemente palpabile il suo grande amore (e venerazione) per il cinema europeo (Ingmar Bergman, Federico Fellini, Vittorio De Sica ed altri). Il protagonista è Sandy Bates, un regista affermato: tutti amano le sue commedie. In ogni luogo, ad ogni festival, folle di fan chiedono il suo autografo, lo adorano e citano le sue battute. Ma, come ogni pubblico adorante, è sempre pronto a criticare, a dire la propria, a scorgere nelle opere ogni possibile (e magari inesistente) riferimento biografico e privato. Tutti critici e psicologi, e così Sandy si ritrova biasimato, perché, con il suo ultimo lavoro, è passato al genere drammatico. Perché lo ha fatto? Le sue commedie erano così belle (tanto che anche gli alieni le apprezzano). Perché questa virata? È la vecchiaia che bussa alla porta? Le insoddisfazioni amorose di tutta una vita? O i traumi infantili che riemergono? Queste, e altre supposizioni, sono avanzate dal pubblico: non può semplicemente apprezzare la recente scelta dell’autore, non comprende il suo nuovo percorso artistico. Lui tenta di fare qualcosa di diverso, e la gente perde subito la lucidità, senza sforzarsi di aprirsi alla novità. Alla retrospettiva delle sue commedie, Bates interagisce con il pubblico, risponde alle domande canzonandolo, e scruta quei volti: mentre passa in rassegna tutti quei visi, pensa al passato. Ricorda Dorrie, quella bellissima, mora e longilinea, ex compagna di qualche tempo prima. Una donna fatta di fragilità e sensualità, mistero e luce. Le turbe confondevano le acque di un animo inquieto e frammentato, come ci dimostrano le inquadrature della iconica sequenza del soliloquio in primo piano, dove dice (a Sandy): «Cercavi sempre la donna perfetta, ed hai finito per innamorarti di me». Sì, credeva che fosse la donna giusta per lui, però quei pochi attimi di serenità di Dorrie, incorniciati dalle note di Louis Armstrong, non potevano bastare. Ed in mezzo a quei volti, Bates pensa anche al presente con Isobel, la sua attuale donna. Bionda, francese, concreta, con due figli, pronta a lasciare una vita stabile per creare una famiglia con il regista: l’opposto di Dorrie. Infine, durante il festival, c’è pure la figura di Daisy, una giovane musicista, amante dei film di Sandy, e tra i due c’è un flirt: una ragazza che fa da raccordo tra i due amori principali del protagonista. Ecco a cosa pensa Bates durante queste conferenze, scansa dalla mente il sordo pubblico per concentrarsi sulla sua memoria e sui suoi principali amori di tutta la vita: il cinema e le donne.

Con un bianco e nero nostalgico, e delle inquadrature che palesemente rievocano di Fellini, Woody Allen, con Stardust Memories, raggiunge un punto di svolta nella sua produzione cinematografica, pronto a mettersi contro il pubblico. Dimostra di non avere paura di citare, anche spudoratamente, le radici cinematografiche che lo hanno cresciuto. Prende i film che adora, ne ritaglia le forme riadattandole al suo lavoro: ci fa vedere come si può fare un’opera autentica mescolando, incessantemente, ciò che amiamo degli altri con ciò che abbiamo in noi. Allen è un regista che vuole andare oltre la storia in sé, mettendo insieme memorie, realtà e fantasie: questo film (e non solo) è un viaggio attraverso i dubbi dell’arte e della vita, dai quali vuole uscire, ma, come Antonio di Ladri di biciclette, il suo peregrinare è infinito. Stardust Memories vuole stracciare le etichette, le categorie, tentando di portare gli spettatori oltre la forma, verso il nocciolo esistenziale del suo pensiero (beccandosi, così, le critiche). La vita è una continua ricerca, affannosa, di una stabilità inafferrabile, allietata da qualche momento felice e dalle battute sagaci: Woody Allen fa dell’ironia un modo per celare il dramma intimo che alberga in ognuno di noi, capace di portarci all’autodistruzione. Il cinema diventa una scappatoia, un modo per salvarsi: passiamo così, grazie alla finzione, dall’autodistruzione alla “autodistrazione”, permettiamoci di usare tale termine. Egli ci insegna che bisogna saper giocare tra dolore e risata, perché l’uno è la linfa dell’altra. Questa è la chiave che cerca Sandy con il suo percorso autoriale, questo è ciò che Allen stesso vuole: come disse in Annie Hall, impariamo ad accettare e a sorridere del lato miserrimo della vita, perché siamo fortunati a non vivere in quello orribile.

Silvio Gobbi

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