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La recensione: “La Dea Fortuna”, di Ferzan Özpetek

Arturo (Stefano Accorsi) ed Alessandro (Edoardo Leo) sono una coppia da parecchi anni, ma il loro rapporto è in crisi. Arturo è uno scrittore fallito e frustrato, costretto a fare il traduttore per guadagnare qualche soldo. Alessandro è un idraulico. Ormai non riescono a stare più insieme: si tradiscono a vicenda e nemmeno i loro amici intimi sanno come farli riappacificare. Un giorno la loro vita cambia: Annamaria (Jasmine Trinca), la ex di Alessandro, decide di lasciare ai due uomini i suoi due bambini, perché deve ricoverarsi in ospedale per un serio problema di salute. Arturo ed Alessandro si troveranno così a dover badare a questi due ragazzini (un maschio ed una femmina), cercando di sanare e nascondere la loro crisi di coppia per salvaguardare la serenità dei piccoli. La situazione si complicherà sempre di più, in particolar modo quando peggioreranno le condizioni di salute di Annamaria e subentrerà la madre di lei, la tetra Elena Muscara (Barbara Alberti).
La Dea Fortuna è l’ultima fatica del regista turco naturalizzato italiano Ferzan Özpetek. Nel rappresentare l’ambiente in cui vivono Arturo ed Alessandro, l’autore cita se stesso. Il palazzo dove alloggiano, dove tutti si conoscono e stanno sempre insieme è la palese copia di quello presente ne Le fate ignoranti (2001), film di successo del regista turco. Un gruppo di condomini ed amici con tutti gli orientamenti sessuali possibili, rappresentati in chiave più o meno stereotipata: dal trans che convive con una donna ai sofferenti sposi, dove la moglie, con pia pazienza, assiste al marito mentalmente debole. Al di là di questi personaggi, bizzarri e non, Özpetek, con questo ultimo lungometraggio, fa un passo in avanti rispetto al suo precedente Napoli velata (2017), anche se, ancora una volta, non è un lavoro eccezionale. Buono il soggetto ed ottimi gli interpreti, ma nel complesso, la vicenda, anche questa volta, non è pienamente riuscita. Il primo tempo de La Dea Fortuna è intrigante, capace di catturare l’attenzione dello spettatore, tramite dubbi e silenzi, ma nella seconda metà la qualità cala. Finché la storia è insidiosa, l’impalcatura regge: nell’instillare dubbi, il regista riesce perfettamente. Nella seconda parte, la conclusione scopre velocemente troppe carte e tronca il risultato: ogni mistero sparisce in maniera troppo repentina. Alcune figure che avrebbero meritato un maggiore approfondimento, come quella (fondamentale) di Annamaria e quella della madre Elena, sono troppo poco sfaccettate ed indagate. A differenza di Pedro Almodóvar, autore vicino al mondo di Özpetek, il regista turco si dimostra qui incapace di analizzare approfonditamente il mondo femminile nel suo complesso: mentre Almodóvar ama le donne e lo dimostra in ogni sua pellicola, studiando e rappresentando dei personaggi femminili indimenticabili, le femmine di Özpetek sono rappresentate in maniera più sfuggevole. In conclusione, La Dea Fortuna è un lavoro con una valevole idea di base, ma senza quei particolari in più (e luoghi comuni in meno) che avrebbero reso l’opera degna dei suoi migliori lavori del passato.

Silvio Gobbi

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