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Home | Cultura | La recensione: “Marriage Story”, di Noah Baumbach
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Marriage Story
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La recensione: “Marriage Story”, di Noah Baumbach

Pubblicato da Mauro Grespini in Cultura 762 Visite

Charlie Barber (Adam Driver) è un regista teatrale di successo: vive e lavora a New York, dove i suoi spettacoli, tra dramma classico ed innovazione, sono estremamente apprezzati e riconosciuti. Con lui lavora la moglie Nicole (Scarlett Johansson), attrice protagonista delle sue opere. I due hanno un figlio piccolo, Henry. Potrebbe sembrare un matrimonio perfetto, ma le cose non procedono come dovrebbero: tra Charlie e Nicole c’è una crepa che si fa sempre più grande con il tempo. Il carattere forte di lui, deciso, regista tanto nel lavoro quanto nella vita coniugale cozza con quello di lei, donna talentuosa ma fragile, fuggita da Los Angeles quando era giovanissima. Le parole non dette, hanno creato delle fratture: il ricorso ad un consulente per salvare il matrimonio non è andato a buon fine perché i due non si sono detti ciò che avrebbero dovuto dirsi, non si sono aperti e tutto è tracimato. Nicole si trasferisce a Los Angeles, per lavorare al pilot di una serie TV, portando con sé il bambino; Charlie rimane a New York. Con questa separazione, cominciano i guai, le difficoltà del divorzio: si susseguono svariati incontri con i famelici avvocati divorzisti, sentenze in tribunale, sfoghi e liti tra Charlie e Nicole. I due cercheranno di distaccarsi l’uno dall’altra, con un dolore sempre più crescente.

Con Marriage Story – Storia di un matrimonio, Noah Baumbach riesce a narrare la vicenda di un divorzio (tema ormai abusato nel cinema) in maniera efficace, con una delicatezza inaspettata, senza leggerezza né banalità. L’autore rappresenta i frammenti dolorosi che compongono il faticoso processo di separazione: un nuovo inizio che parte da un fallimento, il divorzio è un duro passaggio, capace di tirar fuori il peggio da ognuno dei due contendenti. I difetti del coniuge avversario sono la linfa per gli avvocati divorzisti, per vincere in tribunale ed ottenere così migliori vantaggi per i propri clienti. Ciò succede a Charlie e Nicole, trascinati dalla causa più di quanto volessero, rappresentati egregiamente da Driver e dalla Johansson: entrambi ottimi nei loro ruoli. Impressionante è l’immedesimazione di Driver, pregno di dolore ed espressivo nella sofferenza senza trascendere mai eccessivamente: una prova che conferma la sua bravura, già vista in film come L’uomo che uccise don Chisciotte e Paterson. Adam Driver e Scarlett Johansson ci ricordano che i veri attori, quelli bravi, non piangono continuamente come fontane, ma soltanto quando devono, e lottano per trattenere il più possibile le emozioni: in questa tensione, tra compostezza e lacrime, si deve esprimere il massimo della mimica. Come nella vita reale si soffre cercando di mantenere la calma ed il controllo, così nel film fanno i due protagonisti. Tanto semplice quanto sfaccettato, Marriage Story, un prodotto Netflix distribuito, a singhiozzo, nelle sale cinematografiche, va visto più di una volta, per la sua capacità di emozionare, per i suoi personaggi tanto complessi quanto autentici: non si sa per chi patteggiare perché, come spesso accade nella realtà, le colpe di un divorzio stanno in entrambe le parti. L’autore, con queste sue «scene da un matrimonio», vuole insegnarci che i pensieri non espressi sin da subito, le parole non dette, quei piccoli difetti taciuti da sempre, possono portare a danni irreparabili. Bisogna parlare il prima possibile, per risolvere tutto nei migliori nei modi: a prescindere dal destino di una coppia, il silenzio porta soltanto danni e dolori.

Silvio Gobbi

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recensione cinematografica 2019-12-16
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