Il film Lasciati andare del regista Francesco Amato (2016) è il quarto della rassegna settempedana dei “Teatri di Sanseverino”.
La storia narra di Elia Venezia (Toni Servillo), affermato psicoanalista di religione ebraica, separato in casa dalla moglie Giovanna (Carla Signoris), caratterizzato da uno stile di vita fortemente pigro e indolente. Egli è costretto a cambiare la sua routine perché rischia seriamente di rovinare la propria salute: deve cominciare a fare attività fisica per far tornare nella norma i suoi valori, sfasati a causa della cattiva alimentazione e della vita sedentaria. Viene aiutato nell’impresa dalla bella e vulcanica personal trainer Claudia (Verònica Echegui), la quale stravolge le abitudini e il carattere del professore, facendo recuperare allo psicoanalista quella gioia di vivere che, a causa della sua accidia, egli aveva perso.
La pellicola è una commedia gradevole, con ottimi interpreti sia tra i protagonisti che non. Toni Servillo nel ruolo di Elia sembra un Freud dei nostri giorni, un Sigmund stanco, stracolmo della propria psicologia, che ha perduto ogni vigore sia mentale che fisico, diventando pigro pure nel lavoro. Invece Claudia è una personal trainer simpatica ma con una vita personale disastrata, ben interpretata da Verònica Echegui, la quale riesce nel ruolo frizzante che le è stato assegnato. La moglie di Elia, Giovanna, è un personaggio secondario, ma lo stesso significativo. Carla Signoris riesce sempre a caratterizzare bene i propri ruoli, ed a questa parte ha saputo donare una giusta dose di comicità e ironia come lei sa sempre fare (tant’è che, grazie a questa interpretazione, l’attrice è riuscita a vincere il Nastro d’argento alla migliore attrice non protagonista). Lo stesso giudizio positivo vale per l’interpretazione di Luca Marinelli (Ettore): ha dimostrato, ancora una volta, di sapersi ben trasformare a seconda del ruolo assegnato. Tutto ciò giova al lungometraggio: saper caratterizzare bene anche i personaggi secondari, e non solo i protagonisti, è sempre un punto a favore per l’opera. Ma la storia in sé non è eccezionale (d’altronde oggi, essere eccezionali, specialmente nella commedia, è una rarità), pur essendo gradevole e simpatica, con qualche trovata carina e originale (grazie anche all’aiuto della penna esperta di uno sceneggiatore navigato come Francesco Bruni, cosceneggiatore in molti film di Paolo Virzì, e autore del famoso Scialla!, 2011). A livello tecnico, la regia e la post-produzione non spiccano, non c’è nulla di speciale: il tutto è molto lineare, narrativo. Anche in questo caso, come in molti altri film, se si vuole sottolineare qualcosa di particolarmente positivo, bisogna focalizzarsi, come già detto sopra, su alcune trovate della sceneggiatura e sulla bravura degli attori (la caratteristica principale che salva il film). L’ultimo aspetto positivo (non da sottovalutare) è che, fortunatamente, questo film non è la solita commedia pecoreccia all’italiana tipica degli ultimi decenni, perché non è rozza, e riesce a far ridere senza essere volgare, ma, allo stesso tempo, non si avvicina alla qualità delle ultime commedie originali italiane, come quelle, ad esempio, di Gianni Di Gregorio (noto principalmente per Il pranzo di ferragosto, 2008).
Silvio Gobbi