Pubblichiamo, di seguito, un comunicato stampa del Comitato Salva Salute sul problema del monitoraggio ambientale legato al cementificio Sacci di Castelraimondo.
“Il 6 dicembre 2013, al termine della riunione istituzionale tenutasi a San Severino nella sede della Comunità montana, il sindaco Cesare Martini, quello di Castelraimondo, Renzo Marinelli, quello di Pioraco, Giovanni Torresi, il presidente dell’ente montano, Gian Luca Chiappa, il direttore dell’Arpam di Macerata, Gianni Corvatta, e altri soggetti in rappresentanza del Comune di Gagliole e della Regione, si erano impegnati a stabilire un tavolo di discussione per decidere assieme al Comitato Salva Salute le modalità e i tempi dell’indagine ambientale ed epidemiologica cui si sarebbe dovuto sottoporre il nostro territorio, al fine di valutare l’impatto del Cementificio Sacci nei Comuni interessati. L’accordo prevedeva che l’Arpam avrebbe formulato un’ipotesi di monitoraggio che sarebbe stata discussa con i rappresentanti del Comitato Salva Salute di Castelraimondo. Il 27 gennaio si è tenuta una riunione in Provincia in cui i sindaci di San Severino e Castelraimondo, il vicesindaco di Gagliole, il presidente della Comunità montana e il direttore dell’Arpam hanno deciso come e dove effettuare il monitoraggio, senza tuttavia convocare o interpellare il Comitato. Lunedì 10 marzo gli enti si riuniscono nuovamente per approvare definitivamente il protocollo di monitoraggio ambientale predisposto senza la partecipazione dei cittadini; anche questa volta il Comitato non è stato invitato. Quel che è peggio, al Comitato non è stata nemmeno inviata copia del documento del quale discuteranno. Il Comitato, da un lato, constata con piacere che grazie alla sua opera e alle pressioni esercitate gli enti si stanno finalmente muovendo per comprendere quale sia stato l’impatto del cementificio sul territorio e sui suoi abitanti, dall’altro, rileva con disappunto come le amministrazioni continuino con ostinazione a tenere i cittadini lontani da ogni possibilità di partecipazione e confronto, anche su temi di fondamentale importanza come quelli della salute e dell’ambiente. Al riguardo si sottolinea che le vigenti normative nazionale e comunitaria, obbligano gli enti pubblici a coinvolgere le associazioni di cittadini nelle decisioni riguardo alle attività che hanno un apprezzabile impatto ambientale. Riteniamo che le riunioni del 27 gennaio e del 10 marzo, oltre a essere illegittime, rappresentino l’ennesima occasione persa e l’ennesima dimostrazione di come gli enti non riescano a mantenere gli impegni assunti ed a rispettare le regole, quando questi impegni e queste regole comportano trasparenza e collaborazione con la cittadinanza. Perché escludere il Comitato proprio nella fase in cui si decide sul da farsi? Perché non si vuole che il Comitato dia il proprio contributo per la miglior predisposizione possibile del monitoraggio? Perché, proprio nei momenti più significativi, la tanto sbandierata trasparenza cede inevitabilmente il passo al solito modo di agire oscurantista degli enti pubblici? Tutte queste domande continuano a rimanere senza risposta e ciò fa inevitabilmente sorgere il sospetto che vi sia negli enti il timore che un monitoraggio ben predisposto possa dare risultati sgraditi. Non dimentichiamo, infatti, che, per buona parte, stiamo parlando degli stessi enti che hanno fornito il loro parere favorevole nell’ambito della procedura con la quale si è autorizzato il cementificio ad operare in deroga alla vigente normativa sulle emissioni inquinanti e a bruciare, nei prossimi anni, 100.000 tonnellate l’anno di Css (le Marche si stima ne produrranno 70.000, il resto potrebbe provenire da qualunque parte del mondo), il tutto senza minimamente preoccuparsi di quale sia stata la ricaduta del cementificio sulla popolazione in questi quarant’anni e quale sia l’attuale situazione ambientale ed epidemiologica. Il Comitato ricorda che tutta questa attenzione verso l’ambiente è sorta negli enti solo a seguito della forte mobilitazione della cittadinanza dei Comuni coinvolti; ricorda, inoltre, che la prima proposta di monitoraggio formulata dall’Arpam, e condivisa da tutti i soggetti che partecipavano alla riunione del 6 dicembre 2013, prevedeva l’installazione di un’unica centralina mobile, senza altro aggiungere. Solo a seguito delle rimostranze dei rappresentanti del Comitato si erano prese in considerazione altre possibilità, quali ad esempio lo studio dei licheni. Possibilità delle quali si sarebbe dovuto discutere insieme.
Preso atto dell’atteggiamento inqualificabile di tutte le amministrazioni pubbliche coinvolte nell’operazione, il Comitato si è procurato una copia del protocollo che gli enti si accingono a firmare e nella speranza che i politici possano rivedere il loro atteggiamento e le loro decisioni, formula le seguenti osservazioni:
1) l’intera operazione avrà una durata di sei mesi (troppo pochi) prorogabili senza termine (troppo vago);
2) nella parte relativa allo studio della qualità dei suoli viene prevista l’individuazione di 25 punti di indagine, sulla base di un non meglio precisato “studio anemometrico”. In verità non esiste uno studio anemometrico degno di tal nome (a meno che non si voglia utilizzare lo studio predisposto dalla Sacci, basato sui dati reperiti da una stazione meteorologica situata a Macerata, per di più in una posizione non idonea) e la predisposizione di uno studio valido richiede tempi molto lunghi;
3) non si terrà conto dell’attività del cementificio durante tale misurazione (quanto lavora, in quali periodi, con quali forni) né è previsto un esame in continuo delle sue emissioni;
4) nella parte relativa allo studio della qualità dell’aria è nuovamente prevista una sola centralina mobile (troppo poco) e per soli 4 mesi; sono, inoltre, previste misure manuali di campionamento per le polveri sottili e diossine palesemente insufficienti e statisticamente non rilevanti, sia per il numero (ad esempio solo 5 campioni per diossine e furani), sia per la tempistica (non sono previsti campionamenti in continuo 24 ore su 24);
5) nella parte relativa allo studio sui bioaccumulatori è previsto unicamente lo studio dei licheni (troppo poco): sarebbe opportuno prevedere anche uno studio sul latte materno, per studiare anche il fenomeno della biomagnificazione, che in cima alla catena alimentare (dove appunto l’uomo si trova) dà un accumulo crescente degli inquinanti, oppure sulle api;
6) gli oneri economici dell’intera operazione vengono ancora una volta posti a carico dei cittadini, nonostante la normativa nazionale e quella comunitaria abbiano da tempo accolto il principio secondo cui “chi inquina paga”.
Le osservazioni del Comitato non costituiscono una nuova proposta di monitoraggio e non sono il frutto di uno studio approfondito, ma rappresentano ciò che emerge da una prima lettura del protocollo, sulla base di semplicissime regole di buon senso: la speranza è che, come detto, gli enti si rendano conto della necessità di predisporre altri strumenti e di coinvolgere la cittadinanza. I limiti macroscopici del protocollo di monitoraggio predisposto dagli enti, che appare palesemente insufficiente, alquanto generico e sicuramente inidoneo allo scopo cui dovrebbe essere preposto, accrescono il sospetto che l’operazione, più che a comprendere il reale impatto del cementificio sulla popolazione, sia diretta a tacitare ogni resistenza della cittadinanza e legittimare il previsto ampliamento del cementificio.
Proprio per ovviare a questo problema e nella scontata previsione che gli enti non aderiranno alle richieste formulate nel presente comunicato, il Comitato si sta organizzando per procedere ad una propria campagna di monitoraggio”.