La stanza accanto è l’ultimo film scritto e diretto da Pedro Almodóvar, liberamente ispirato al romanzo “Attraverso la vita” di Sigrid Nunez. Il lungometraggio del regista spagnolo si è aggiudicato il Leone d’oro alla 81ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, un premio ottenuto con un’opera atipica rispetto a quelle che hanno caratterizzato l’ormai quasi cinquantennale produzione dell’autore. La stanza accanto è un film asciutto nella forma, ma ricco di contenuti e riflessioni riguardanti tematiche profonde che toccano tutti, come la morte, la sua accettazione, ed il desiderio di poter decidere come morire quando una malattia rende impossibile qualsiasi guarigione e riduce il malato ad uno straccio.
Le protagoniste della vicenda sono Ingrid e Martha (rispettivamente, Julianne Moore e Tilda Swinton). Ingrid è una scrittrice all’apice del successo e Martha è una giornalista di guerra in punto di morte, per un cancro incurabile: le due donne si incontrano dopo tanto tempo e riallacciano i rapporti, ma, ad un certo punto, Martha chiede ad Ingrid di farle “compagnia” quando deciderà di porre fine alle proprie sofferenze ingerendo una pillola per l’eutanasia (una richiesta che porterà Ingrid e Martha a vivere una nuova e complessa fase della loro amicizia). Come anticipato, nel raccontare questa profonda vicenda, Almodóvar adotta una regia ed una scrittura dei personaggi essenziali, esce dallo stile ricco, spesso caricaturale, del suo cinema: per trattare un tema così scottante, decide di essere schietto, puntando di meno alle sue canoniche trame intricate, senza cedere ad una costruzione didascalica. Cura ugualmente bene i tempi della narrazione e gli ambienti delle sue protagoniste, senza tralasciare i dettagli: i libri, le pareti, gli oggetti, i colori si legano saldamente ai caratteri di Ingrid e di Martha e ne sono una loro estensione.
La morte è raccontata attraverso la malattia di Martha, tramite la guerra (le esperienze lavorative di Martha ed il ricordo del suo primo ex, reduce impazzito dopo essere stato in Vietnam) ed attraverso le citazioni letterarie e cinematografiche (The Dead, il film di John Huston tratto dal racconto presente in “Gente di Dublino” di James Joyce). Ma c’è anche spazio per l’ironia, la sdrammatizzazione, con qualche battuta delle protagoniste e la presenza dei film di Buster Keaton: Almodóvar ricorda così, come nei suoi film precedenti, che anche nel dolore c’è sempre qualche risata da fare. Il regista realizza in sostanza un film lucido sulla morte, sul diritto di poter decidere della propria fine in certe circostanze, ricordandoci anche le altre “morti assolute” a cui l’umanità può andare incontro (le guerre ed il cambiamento climatico); inoltre, la consistenza di questo film deriva anche dalle due intense ed autentiche attrici protagoniste, fondamentali nella riuscita di questo meritato Leone d’oro.
Silvio Gobbi