La filmografia di Wes Anderson si è sempre caratterizzata per un’estetica curatissima, quasi maniacale, fatta di simmetrie perfette e colori vivaci: immagini pulite e stupende che contrastano fortemente con i personaggi delle vicende, soggetti spesso in conflitto, feriti, ammorbati per qualcosa, con scheletri nell’armadio e dal carattere particolare (come dimenticare, per esempio, la famiglia de I Tenenbaum?). La bellezza visiva delle pellicole di Anderson è l’involucro che racchiude le nevrosi di chi è rappresentato: una bellezza rilassante e al tempo stesso straniante, la scorza che ricopre quel nucleo di scontro ed incontro tra commedia e dramma, tra ombre e luci degli individui. L’autore ha sempre seguito questa traccia, l’ha accresciuta nel tempo e, dopo The French Dispatch, grande omaggio alla storia del giornalismo dalla regia inconfondibile, fitta di primi piani, inquadrature simmetriche e veloci carrellate di macchina, egli torna al cinema con Asteroid City (presentato in concorso all’ultima edizione del Festival di Cannes), un’opera dove spinge ulteriormente la sua tecnica e dove gioca con il flusso degli eventi.
Asteroid City racconta – fate attenzione – la storia della realizzazione di uno spettacolo incentrato su un’immaginaria piccola cittadina nel deserto statunitense (nel sud ovest). In questo paesello arriva un gruppo di geniali ragazzini, con le proprie famiglie, per ritirare un importante premio scientifico destinato a giovani brillanti, ma durante la cerimonia un alieno scende in mezzo agli umani. Però, essendo il lungometraggio il racconto della realizzazione di uno show, insieme alle scene della commedia della “Città dell’Asteroide”, vediamo di frequente gli autori di quella finta vicenda fare capolino e spiegare a noi spettatori la lavorazione dello spettacolo, come se fosse un documentario: in sintesi, Asteroid City, è una finzione di una finzione, composta dalla finta vicenda della cittadina immaginaria ed i finti autori che raccontano al pubblico (a noi) la finta opera. Al di sopra di questa grande matrioska drammaturgica, il vero ed unico burattinaio è Wes Anderson. Ed Anderson ha voluto proprio giocare in questo suo ultimo film, come un bambino che prende in mano i propri giocattoli ed inventa storie e situazioni rocambolesche, mescolando registri diversi, con ironia ed autoironia, cercando di rassicurare e, al contempo, spiazzare lo spettatore. Un disorientamento, incarnato dai personaggi frammentati e manchevoli, che si riflette nella storia in sé, dal sapore incompleto: praticamente è come se l’autore avesse voluto trasportare la discontinuità dei suoi protagonisti nella struttura della commedia, ottenendo un prodotto volutamente evanescente, una vicenda senza una decisa conclusione. Asteroid City è un lavoro molto più cervellotico di quanto possa sembrare, forse questo lungometraggio mira ad essere un esperimento cinematografico complesso, con l’intento di rendere la vera protagonista della vicenda quella sensazione di incompiutezza che genera e si dirama dai protagonisti agli sviluppi della trama: un obiettivo che può non essere apprezzato da tutto il pubblico, ma del quale non si può negare l’ambizione.
Silvio Gobbi