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Il teatro Feronia
Il teatro Feronia

1823-2023. Duecento anni fa nasceva il progetto del teatro Feronia

di Alberto Pellegrino

Alla fine del Seicento e nei primi anni del Settecento si verifica in Italia la definitiva perdita di autonomia politica ed economica delle Signorie che vengono sostituite da Stati più vasti e con una struttura centralizzata, contemporaneamente crescono l’autonomia, il peso politico ed economico dei municipi che sono chiamati ad amministrare le città di grandi, medie e piccole dimensioni con una classe dirigente ancora formata da un’aristocrazia urbana le cui fortune sono soprattutto legate a una rinnovata gestione delle grandi proprietà agricole.

La fisiocrazia e la rivoluzione agricola

L’Illuminismo introduce il concetto di “agricoltura razionale” basata su nuovi prodotti agricoli, l’uso di fertilizzanti, nuovi metodi di semina e rotazione delle colture. L’agronomia diventa una scienza con ricadute positive sul piano economico, perché si afferma la fisiocrazia che, contrapponendosi al mercantilismo, attribuisce ai beni e ai prodotti della terra un’importanza superiore al commercio e all’industria, dato che l’agricoltura fornisce le materie prime e il nutrimento indispensabili alla vita umana. In una regione agricola come le Marche questa nuova fase economica provoca una rivoluzione “silenziosa” ma proficua che favorisce l’arricchimento del patriziato formato dalle grandi famiglie nobiliari, dalla piccola nobiltà di campagna e dalla nascente borghesia che prospera con il commercio legato all’agricoltura.

La nuova “moda” del teatro

La nascita e lo sviluppo del dramma per musica o melodramma accelerano la richiesta della sostituzione delle sale di corte o d’accademia con teatri aperti al pubblico come era stato anticipato nel primo Seicento a Venezia, città mercantile per eccellenza, con la nascita dei primi teatri pubblici. Nel Settecento si diffonde anche nei piccoli e medi centri urbani il desiderio di poter godere di rappresentazioni aperte a un pubblico più vasto ed eterogeneo in luoghi appositamente dedicati alla spettacolo. Nel Seicento vi era stato un rinascimento teatrale con la costruzione dei teatri pubblici di Ancona (1623), Pesaro (1637), Fano (1677), Urbino (1683), ma nel Settecento nasce una nuova civiltà teatrale, quando il patriziato, che è alla guida delle città, avverte l’esigenza di costruire teatri aperti al pubblico, considerando il Teatro anche una struttura capace di conferire prestigio e dignità alle “piccole Patrie”. All’inizio del secolo si costruiscono il Teatro La Fenice di Ancona (1711), il Teatro de’ Nobili di Recanati (1719), il Teatro La Fenice di Camerino (1728), il Teatro del Leone di Jesi (1731).

Le origini del teatro a San Severino

A San Severino, dopo la distruzione nel 1699 della Sala del Teatro che si trovava all’interno del Palazzo dei Consoli a Castello, nel 1732 il Consiglio comunale comincia a pensare alla costruzione di un edificio teatrale e l’argomento viene ripreso nel 1734 per riconoscere l’opportunità di avere un teatro pubblico come luogo di onesto divertimento per il pubblico. Dopo dibattiti e il superamento di difficoltà per la raccolta dei fondi privati, nel 1740 il Condominio teatrale affida l’incarico di progettazione del teatro a un allievo del grande Antonio Galli Bibbiena, l’architetto fanese Domenico Bianconi, del quale si hanno scarse notizie come progettista del Teatro dell’Aquila all’interno dei palazzo dei Priori di Fermo (1748) e del Teatro de’ Codomini di Ostra (1770-73). A San Severino Bianconi progetta una sala teatrale in legno con forma a campana, tre ordini con 44 palchi, la platea e il loggione con balconata a colonnine. Il Teatro de’ Condomini viene inaugurato nel 1747 (il quinto nelle Marche) e in esso si rappresentano oratori e melodrammi di Paisiello e Rossini fino all’ultima stagione del 1822 con Il turco in Italia di Rossini e Agnese di Ferdinando Paer, prima che il teatro venga chiuso perché ritenuto pericolante e insicuro per la minaccia d’incendi.

Progetto di Domenico Bianconii (1747)

L’incarico per il nuovo Teatro a Ireneo Aleandri

La Congregazione teatrale decide nel 1823 di affidare la progettazione di un teatro in muratura al giovane architetto concittadino Ireneo Alendri. Inoltre istituisce una commissione con l’incarico di seguire lo svolgimento dei lavori, composta da Germano Margarucci, Nicola Luzi, Gaetano Caccialupi, Gaspare Valentini e Giuseppe Crivelli. L’esecuzione dei lavori è affidata ai maestri muratori Gaspare Maccari, Vincenzo, Pietro e Domenico Mochi; le decorazioni sono affidate a Giuseppe Trotti e le scene al pittore Bibbiena; al pittore sanseverinate Filippo Bigioli, residente a Roma, è affidato l’incarico di realizzare i bozzetti del sipario e delle pitture della volta, opere che saranno materialmente realizzate dallo scenografo ascolano Raffaele Fogliardi. Il progetto del nuovo edificio viene presentato dall’Aleandri il 7 giugno 1823 e il teatro sarà solennemente inaugurato maggio 1828 con l’opera Matilde di Shabran di Rossini e a giugno 1828 con Il Mosè sempre di Rossini, prima rappresentazione italiana in forma scenica dopo il debutto dell’opera a Parigi nel dicembre 1827 in forma concertistica.

Il progetto di Aleandri

Ireneo Aleandri è considerato uno dei massimi esponenti del “Purismo”, una corrente architettonica nata nell’ambito del Neoclassicismo, influenzata dallo “spirito di geometria” delle sperimentazioni degli architetti rivoluzionari francesi adattandole a una concreta realizzabilità: “Se linearità, proporzione e buon gusto furono i suoi condivisi presupposti teorici, nella prassi col Purismo architettonico venne evidenziata la correttezza costruttiva nell’uso dei materiali e la rispondenza razionale tra funzioni e planimetrie, con un’attenzione costante al programma economico che privilegiava, e non temeva, la semplificazione serena delle forme e delle membrature” (F. Mariano, Aleandri e l’architettura del Purismo dello Stato pontificio, in F. Mariano – L.M. Cristini, Ireneo Aleandri 1795-1885, Electa, 2004, p.19).

All’interno nella sua notevole produzione progettuale, Aleandri può essere considerato uno specialista dell’architettura teatrale per i molti teatri progettati e realizzati. Egli è per molti aspetti un innovatore e questo lo espone a complicati e contrastati rapporti con la committenza per la costruzione di teatri “destinati al Pubblico uso venale”. È infatti difficile allontanarsi dalla tradizione e imporre il “purissimo stile” della giovane architettura italiana del primo Ottocento per restituire una dignità architettonica al teatro attraverso la purezza delle forme pur mantenendo una moderna rilettura della “classicità”.


Il primo progetto purista del giovane Aleandri è quello di San Severino Marche, nel quale si preoccupa di creare un volume armonioso che rispetti la classica teoria fisica della propagazione del suono per onde sferiche. Il principio estetico dell’unità informa le proporzioni della sala, circoscritta a una sfera ideale, con la conseguenza che il ferro di cavallo ha il pregio di unificare le principali dimensioni. Nella pianta della platea del Feronia si iscrive perfettamente un cerchio, diversamente dal più oblungo ferro di cavallo di stampo scaligero” (C. Marchegiani, Ireneo Aleandri 1795-1885, op. cit., p.72). Aleandri per l’opposizione del Congregazione deve rinunciare ai palchi a balconcino che avrebbero favorito la visibilità e deve approntare altre modifiche al primo progetto, ma nei progetti successivi ottiene ugualmente il risultato di garantire grazia classica della sala a palchetti, per cui il Teatro Feronia rimane un modello di “purità dello stile” per l’eleganza delle linee e della decorazione.


Il 30 gennaio 1823 l’architetto sanseverinate presenta alla Congregazione teatrale un progetto preliminare che prevede una spesa di circa 1700 scudi, nel quale si propone di ricostruire il teatro all’interno della vecchia cinta muraria che conteneva il precedente impianto ligneo del Bianconi. La nuova sala prevede tre ordini di 17 palchi più il loggione, con una volta ad unghiature alla maniera del Bibbiena: i palchi sono inquadrati da un sottile ordine di colonnine corinzie; l’intero edificio ha una forma rigorosamente semicircolare per garantire una buona visione da ogni angolazione e una sicura efficacia acustica.
La Congregazione teatrale approva il preliminare e il 12 marzo 1823 viene presentato il primo progetto nel quale si mantengono i 17 palchi, ma si propone un allargamento della platea verso destra con l’abbattimento e la ricostruzione di un muro del vecchio teatro. Dopo una serie di osservazioni e discussioni, la Deputazione chiede a seguito dell’allargamento della platea di portare da 17 a 19 i palchi per ciascun ordine e la vendita di questi ulteriori 6 palchi dovrebbe contribuire a coprire una parte delle ingenti spese. Aleandri prevede i 6 palchi in più, mantenendo fisse le dimensioni planimetriche ma allungando la platea con la riduzione del palcoscenico.


Non è gradita la soluzione delle esili colonnine a sostegno dei palchi, per cui il progettista propone tre ordini sovrapposti di bassi pilastrini con un semplice modiglione come capitello. L’arco scenico è impostato con un ordine gigante di due lesene che racchiudono i palchi di proscenio; il loggione viene concepito come un vero quarto ordine con caratteristiche analoghe ai tre ordini inferiori; la volta a unghie viene sostituita con una copertura piana.


Nella stesura definitiva si mantiene il numero di 19 palchi per ogni ordine; si procede a un ulteriore allargamento dell’edificio verso destra e questo consente di allargare l’interno dei palchi e il corridoio che li disimpegna, mentre la platea rimane invariata; in corso d’opera l’Aleandri realizza anche le unghiature bibbianesche della volta così come le vediamo oggi. I lavori in muratura iniziano nell’agosto 1823, mentre quelli di doratura e decorazione nel 1825. Comunque nell’arco di cinque anni l’edificio viene terminato e aperto al pubblico in modo solenne nel 1828 con un interesse da parte della stampa specializzata nazionale, con grande soddisfazione della Congregazione teatrale e dei Condomini, con il favore di tutta la cittadinanza, che vede nel nuovo teatro un vanto e una gloria cittadina.

 

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