Dopo il concitato 1917, Sam Mendes torna al cinema con la storia intima e delicata di Empire of Light. Candidato agli Oscar 2023 per la categoria “Migliore fotografia” (Roger Deakins), il nuovo lungometraggio di Mendes è ambientato a Margate, nel sud dell’Inghilterra: siamo agli inizi degli anni Ottanta, il paese sta cambiando per le draconiane politiche di Margaret Thatcher, aumenta la disoccupazione e cresce la recrudescenza del razzismo violento da parte dei naziskin nei confronti della popolazione “non bianca”. In questa città, il cinema Empire è un rifugio, un luogo dove la tristezza e la crudeltà del mondo vengono stemperate dalla magia delle pellicole proiettate nel buio della sala. Ma la magia vale solo per i clienti del cinema, perché la vicedirettrice, Hilary (Olivia Colman), una donna di mezza età affetta da una forte depressione, è sessualmente sottomessa al direttore Donald Ellis (Colin Firth). Un giorno viene assunto Stephen (Micheal Ward), un ragazzo inglese originario del Trinidad, e tra lui e Hilary (i due emarginati, una per i problemi psichiatrici, l’altro per il colore della pelle) nasce un forte e complesso legame.
Con Empire of Light, Sam Mendes realizza un’opera intima, dai toni tenui, un racconto sognante, e al tempo stesso duro, sulle difficoltà degli esclusi, degli ultimi. Hilary e Stephen si amano, sono attratti l’uno dall’altra con sincera tenerezza, una forte affinità nella (e nelle) diversità. Il mondo cambia, ma gli scartati permangono: questi discriminati sono ben rappresentati dalla figura del piccione con l’ala spezzata che Hilary e Stephen trovano nel cinema e decidono di curare. Come gli esseri umani esclusi, uguali agli altri ma incapaci di stare in mezzo ad essi, il piccione malato è simile agli altri volatili, ma non può volare come loro, finché non riceve l’aiuto necessario: così fanno i due protagonisti, cercano di curarsi ed aiutarsi a vicenda per spiccare di nuovo il volo nel mondo, in mezzo agli altri umani, ottenendo risultati altalenanti come è la vita stessa. Senza i toni forti presenti in altri suoi importanti lavori come American Beauty, Revolutionary Road e il già citato 1917, Sam Mendes, attraverso Empire of Light, è alla ricerca di una sincera e non banale affettuosità, ma fatica ad ingranare nel primo tempo, per poi riuscire a recuperare nella seconda parte. Al netto di ciò, evidente è da parte del regista il forte messaggio d’amore nei confronti del cinema: nei film possiamo rivivere le nostre avversità sotto un’altra luce, attraverso questa arte magica anche i drammi sono capaci di farci abbandonare, per un paio d’ore, i problemi del mondo e i dolori della quotidianità.
Silvio Gobbi