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Home | Cultura | La recensione: “Triangle of Sadness”, di Ruben Östlund
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Triangle of Sadness
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La recensione: “Triangle of Sadness”, di Ruben Östlund

Pubblicato da Mauro Grespini in Cultura 484 Visite

Carl e Yaya sembrano una coppia perfetta: entrambi modelli, entrambi noti nel mondo dei social (lei, in particolare, è una famosa influencer). Vivono una relazione fatta di alti e bassi, non si sa se siano veramente innamorati o se il loro amore sia soltanto una trovata mediatica per avere, giorno dopo giorno, più follower. Comunque sia, i due si ritrovano in una crociera popolata da ricchi pazzi, avvezzi ad assecondare ogni più fastidioso capriccio: la nave è un concentrato di viziati, ed il personale (in prima persona il capitano, un marxista che preferisce chiudersi nella sua camera e bere come una spugna pur di non vedere i propri passeggeri) deve accontentare, in ogni modo, questo circo di personaggi. Però, un giorno, la nave viene attaccata da dei pirati e i sopravvissuti si ritrovano in un’isola sconosciuta: da quel momento, ogni gerarchia sociale presente nella crociera viene ribaltata.

Triangle of Sadness è il nuovo film del regista svedese Ruben Östlund, premiato con la “Palma d’oro” al Festival di Cannes 2022 (Östlund vince per la seconda volta il premio più ambito del festival francese, la prima volta fu nel 2017 con The Square). L’autore svedese rimane fedele al suo taglio caustico, apparentemente freddo ma, in verità, viscerale, capace di sondare, con la sua regia massiccia, i più profondi difetti dell’uomo. Un’opera sulle ipocrisie, ironica e sarcastica, drastica, senza scadere nel cliché di dividere il mondo in buoni e cattivi. Ci sono i vizi e l’ottusità parossistica dei ricchi, interessati soltanto a soddisfare i propri capricci, incapaci di capire chi è meno fortunato di loro, ma dall’altro lato c’è anche la disperazione dei poveri, la fame di potere che li pervade nel momento in cui riescono, per un attimo, ad avere la meglio sui plutocrati (in certi momenti, ricorda Bong Joon-ho).

La regia di Östlund è acuta e trafiggente, la sceneggiatura e la videocamera sono i bisturi del regista per tagliuzzare il mondo e servirlo al pubblico, per mostrare a tutti come il mondo degli umani sia il più bestiale possibile: il potere che può impossessarsi di ogni uomo è il peggiore dei mali su questa Terra. La nave diventa una incubatrice di accidia, di invidia, di spregiudicatezza, è il simbolo di un’ingordigia che assorbe e ingurgita sempre di più, che spolpa qualsiasi umanità per trasformarla in vomito e feci. Carl e Yaya sono i giovani della vicenda, figure incerte in questi tempi indefiniti, ragazzi assorbiti da questo finto mondo fatto di apparenze, di social e like. Anche se non si riconoscono in nessuna passata idea (tanto immuni al “capitalismo” dei russi quanto al “marxismo” del capitano) sono la forza del futuro ed il regista, pur non risparmiando a questi giovani le critiche, dona a loro una piccola speranza, possibile ma difficile da raggiungere, come la concitata, affannata e disperata corsa finale di Carl alla ricerca di Yaya simboleggia.

Silvio Gobbi

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recensione cinematografica 2022-11-04
+Mauro Grespini
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