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Crimes of the Future
Crimes of the Future

Recensione: “Crimes of the Future”, di David Cronenberg

«Gloria e vita alla nuova carne!», così recita la frase più famosa del film Videodrome. Era il 1983, e Cronenberg, regista già ben avviato nel mondo del cinema, stava per portare al compimento massimo la sua concezione di body horror: il corpo umano, ormai non più puro, era costretto a subire una manipolazione totale, a mescolarsi col mondo, con la tecnologia, e con le paure. Dopo aver esplorato, per più di cinquant’anni, le angosce umane, attraverso la fusione estrema di corpi e turbe psicologiche, con il suo nuovo film, Crimes of the Future, David Cronenberg porta sullo schermo l’ultimo stadio della «nuova carne», sintetizzando la sua poetica cinematografica, mostrandoci come i nostri organismi arriveranno a mutare in maniera incontrollabile, condizionati dalla psiche e dal mondo circostante in maniera impensabile.

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2022, Crimes of the Future è un’opera asciutta e, al tempo stesso, minuziosa e complessa, che vede come protagonista Saul Tenser (Viggo Mortensen), un uomo affetto da una strana produzione continua di nuovi organi. Egli si fa asportare questi nuovi organi da Caprice (Léa Seydoux), durante delle performance che mescolano chirurgia e body art. I due vivono in un futuro non molto lontano da noi, in un mondo malato dove il dolore è il piacere (questo ci ricorda il precedente Crash), dove «la chirurgia è il nuovo sesso». La realtà è fatiscente, sporca, la tecnologia avanza e l’uomo ne è sempre più dipendente, l’umanità è sempre più ibrida e sempre più lontana da come la conosciamo. In questa distopia, in questo mondo lurido, nessuna figura è chiara: chi è Saul? Chi sono le persone con cui entra in contatto? Qual è l’obiettivo che si cela dietro a queste macabre performance artistiche? Qual è lo scopo della vicenda e di tutto ciò che accade?

Crimes of the Future è ricco di domande. È un film sulla tecnologia inarrestabile, sui corpi che mutano influenzati dall’ambiente, sulla volontà degli individui di controllare l’anarchia del corpo rendendola arte per poterle dare un senso. In questo lungometraggio, l’arte (principalmente la body art) è l’ultima ed unica forma per salvare il proprio corpo dalle continue mutazioni, soltanto tramite la loro spettacolarizzazione queste malattie acquisiscono un senso. Attraverso immagini che ricordano le impressionanti video installazioni di Tony Oursler, le mutilazioni e le manipolazioni corporee di Stelarc e di Gina Pane, Cronenberg, con la sua regia cupa e tagliente (senza trascurare le potenti scenografie di Dimitra Sourlantzi, la fotografia di Douglas Koch, e le puntuali atmosfere musicali di Howard Shore), crea un poderoso, estremo, e drammatico thriller psicologico dalle componenti horror. All’età di quasi ottant’anni, il regista canadese vede oltre il nostro tempo, percependo nel nostro presente le possibili derive future. L’uomo del futuro sarà sempre più dipendente dalla tecnologia, dagli oggetti sintetici, dalla “plastica”, non solo per le comuni azioni della vita quotidiana, ma anche la sua stessa struttura biologica sarà sempre più fisicamente legata a tutto ciò che è artificiale. L’uomo del futuro è una creatura dalla differente sensibilità, incomprensibile per i nostri canoni, destinato a migrare dalla vita biologica a quella sintetica, senza poter tornare indietro: la nascita definitiva della «nuova carne» non può essere arrestata.

Silvio Gobbi

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