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“Nimic”: il corto di Yorgos Lanthimos su MUBI

Può un semplice incontro in metropolitana, una banale domanda rivolta ad un passeggero, far piombare la tua vita in una gelida crisi dalla quale non si può uscire? Se sei Yorgos Lanthimos, tutto ciò può accadere.

Nimic, l’ultimo corto del regista greco (disponibile sulla piattaforma MUBI), condensa, in circa dodici minuti, un dramma esistenziale, essenziale e tagliente, dove la vita del protagonista (interpretato da Matt Dillon) e della sua famiglia, viene stravolta: in un attimo, si è catapultati in una assurda vicenda, con una incredibile naturalezza che prende di sorpresa lo spettatore. Con questo lavoro, Lanthimos torna ai suoi temi più cari: l’alienazione, la famiglia come realtà imprigionante ed incomprensibile, la freddezza nei rapporti umani. Con Dogtooth, ci mostrò il concetto di famiglia come una vera e propria gabbia; con The Lobster, quanto i rapporti di coppia siano più degli artifici imposti dalla società che dei veri e propri desideri dell’individuo; con Il sacrificio del cervo sacro, quanto un padre possa portare i propri cari alla distruzione. Nimic prende tutti questi aspetti e li ripropone in una forma schietta e sintetica (aggiungendo anche il tema della sostituzione dei corpi, presente in Alps).

Grazie alla sua valida e tagliente regia, con tanto di commento musicale capace di sottolineare il peso della situazione, noi viviamo l’irreale vicenda di questo padre che si ritrova, di punto in bianco, a rischiare di perdere il suo ruolo, il proprio posto all’interno della sua famiglia: un esempio di come la quotidianità possa rivelarsi tanto monotona quanto fragile, pronta a disintegrarsi per un nulla, per un semplice incontro fortuito capace di ribaltare ogni certezza. Nimic non dà risposte, non risolve nulla, perché non c’è né inizio né fine, perché per Lanthimos l’esistenza è così: imponderabile, senza principio né conclusione (ed il “finale aperto” è un espediente spesso presente nelle sue opere, efficace per un simile pensiero). Ci dimostra, ancora una volta, di essere uno dei registi contemporanei che più profondamente ha capito il significato della parola “inquietudine”: forse è la sua migliore amica, e riesce sempre a denudarla, a mostrarcela come meglio crede, anche quando ha soltanto dodici minuti di tempo.

Silvio Gobbi

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