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Un angolo della mostra
Un angolo della mostra

Gli illustri settempedani che danno il nome alle nostre vie

Presso la Pinacoteca civica, a Palazzo Manuzzini, è stata allestita la mostra Per le vie di San Severino Marche: un percorso “illustre” nella storia della città, a cura di Milena Ranieri, Raoul Paciaroni, Annalisa Piersanti, Chiara Codoni e Alice Cervigni. L’intento dell’esposizione è quello di descrivere al pubblico i personaggi di origine settempedana che si celano dietro ai nomi di molte delle vie che costellano la nostra città (Via Tacchi Venturi, Fratelli Salimbeni, Aleandri, Viale Eustachio e molte altre ancora). All’interno della mostra, si trovano tante teche per ogni personaggio presente: dai pittori Lorenzo e Jacopo Salimbeni (vissuti tra la fine del Trecento e i primi decenni del Quattrocento, esponenti significativi della scuola pittorica settempedana, fortemente influenzati dalle suggestioni del Gotico internazionale) al giurista Francesco Antolisei (1882-1967, docente universitario di Diritto Penale, autore del celebre Manuale di diritto penale, pubblicato per la prima volta nel 1947). Gli altri nomi presenti sono: il padre gesuita Pietro Tacchi Venturi (1861-1956); il vescovo e segretario del Concilio di Trento Angelo Massarelli (1510-1556); il pittore Filippo Bigioli (1798-1878); il poeta e filosofo Ludovico Lazzarelli (1450-1500); il vescovo Giovanni Carlo Gentili (1794-1859); il giurista Gian Battista Caccialupi (1420-1496); Cesare Giri (1877-1941), scultore e caricaturista, il fratello Mariano (1855-1918) anch’egli illustratore; i “Fratelli Acciaccaferri” (in realtà erano padre e figlio, entrambi artisti), XVI secolo; il medico Bartolomeo Eustachio (1500/1510-1574); il pittore Lorenzo d’Alessandro (1445 ca.-1500); il librettista Virgilio Puccitelli (1599-1654); l’astronomo e ottico Eustachio Divini (1610-1685); l’economista Francesco Coletti (1866-1940); l’architetto Ireneo Aleandri (1795-1885); l’umanista Francesco Panfilo (San Severino? – 1535); il tenore Ettore Marcucci (1820-1891) ed infine l’archeologo Giuseppe Moretti (1876-1945).

Una mostra estremamente interessante, concentrata e dettagliata, dove le vite dei protagonisti emergono attraverso le brevi, ma precise, targhe descrittive, con l’ausilio di teche piene di documenti solitamente custoditi presso la Biblioteca comunale “Antolisei”. Un viaggio, tramite le carte, gli appunti, i taccuini, lungo le vite degli illustri concittadini che ci hanno preceduti. Personaggi che danno il nome alle vie che tutti i giorni noi attraversiamo, spesso indaffarati o sovrappensiero, senza pensare mai chi fosse colui o colei a cui è stata intitolata una via della nostra cittadina. Con questa mostra si tenta proprio di riportare alla luce le biografie di questi uomini del passato, noti per aver contribuito, ognuno a proprio modo, non solo al prestigio comunale, ma alla storia del Paese intero: chi attraverso la pittura, chi tramite il diritto, chi con la scienza, ognuno dei protagonisti si è distinto e ha dato il meglio di sé nella propria attività. Ma pur avendo tutti dato vita ad opere o attività degne di nota, rischiano lo stesso di essere dimenticati, di diventare nomi vuoti, senza significato. La memoria, si sa, è debole, ed anche i personaggi più grandi rischiano spesso di essere dimenticati dai viventi (non solamente dai giovanissimi, ma anche dagli adulti). Tale problema è sicuramente uno dei maggiori nel nostro tempo: investe chiunque, a prescindere dall’estrazione sociale, dall’istruzione e dalla fascia di età. Non a caso, Umberto Eco scrisse, in una delle sue famose “Bustine di Minerva”, nel 2008, l’articolo Via le vie!: un sagace intervento dove sottolineava come, troppo spesso, l’attribuire il nome di un personaggio ad una via è il modo migliore per farlo cadere nell’oblio nel giro di pochi anni, a prescindere da chi egli fosse o avesse fatto: una perfetta “damnatio memoriae” (tranne rari casi, come le vie intitolate a Garibaldi o Cavour). Il filosofo raccomandava quindi di identificare le vie con i numeri (come si fa negli Stati Uniti), o con nomi generici e riconoscibili (per esempio via dell’Orso, dei Tigli, eccetera). Magari non bisogna arrivare a tanto, perché è giusto intitolare una via ad un personaggio con dei meriti. L’importante è mantenere viva la memoria di tali nomi, far capire alla gente che dietro ad un nome c’è sempre una storia: fare sì che le persone, quando leggono “Via Tacchi Venturi”, sappiano che non si tratta di una targa vuota, ma che stanno leggendo il nome di un noto padre gesuita il quale, oltre ad aver pubblicato l’importante Storia della compagnia di Gesù in Italia (prima edizione 1910, stesura definitiva 1930), è anche stato partecipe dei Patti Lateranensi del 1929. Questo è giusto un esempio. Non è un progetto facile, né un obiettivo velocemente realizzabile, ma attività come la mostra Per le vie di San Severino Marche: un percorso “illustre” nella storia della città sono un buon punto di partenza per riattivare nelle persone la curiosità e la voglia di recuperare l’importanza del senso storico, della memoria. Per poter così uscire da questa trappola di smemoratezza, la quale ci fa essere «un paese di contemporanei, senza antenati né posteri, perché senza memoria» (come disse Ugo Ojetti ad un giovanissimo Indro Montanelli), facendoci vivere in una falsa e sterile concezione di contemporaneità.

Silvio Gobbi

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