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“Il sacrificio del cervo sacro”
“Il sacrificio del cervo sacro”

“Il sacrificio del cervo sacro”: una moderna tragedia greca

Il mondo moderno mira ad eliminare tutto ciò che la natura ha di spiacevole, come la malattia e la morte. Con lo sviluppo delle scienze e delle tecniche, l’uomo ha cercato, sempre di più, nel corso dei secoli, di migliorare le proprie condizioni materiali, aspirando ad una utopica ed irrealizzabile vita perfetta: tutti la desideriamo, nessuno l’otterrà mai. Così vale anche per Stephen Murphy (Colin Farrell), un noto cardiochirurgo, marito della bella oftalmologa Anna (Nicole Kidman) e padre di Kim (Raffey Cassidy) e Bob (Sunny Suljic). Egli ha un ottimo lavoro, vive in una bella casa con tutti i comfort: la sua vita è apparentemente perfetta, non gli manca nulla. Ma Stephen ha un piccolo segreto: dopo il lavoro, incontra assiduamente un misterioso ragazzo di nome Martin (Barry Keoghan). Il dottore ha un atteggiamento molto paterno nei confronti del ragazzo, dal momento in cui il padre del giovane (un suo ex paziente) è venuto a mancare. Il loro rapporto evolve e Stephen decide un giorno di presentare Martin alla famiglia. Da lì in poi, i figli del medico, misteriosamente, si ammalano di una patologia senza nome ed incurabile, come se fosse una specie di maledizione: qui inizia la tragedia (greca). Il sacrificio del cervo sacro di Yorgos Lanthimos è proprio ciò: una tragedia greca in chiave moderna. Nel corso della vicenda, si scopre che Stephen ha “involontariamente” scatenato questa malattia/maledizione, perché ha causato un enorme dolore a Martin in passato, ed ora i familiari del dottore devono pagare lo scotto dello sbaglio del capofamiglia. Tipico tòpos della tragedia greca: le colpe dei padri ricadono sui figli. Da questa legge non si esce, la sentenza è ineluttabile, il dramma perpetua fino a che non viene ristabilito l’equilibrio tra la parte lesa (Martin) e la causa del male (Stephen). Il regista greco ci trascina così in un dramma perfetto, dove si scivola sempre di più in un tragico sviluppo. Lanthimos ci conduce in una storia dal crescendo serrato e claustrofobico, tecnicamente eccezionale: le carrellate, i movimenti di macchina e le inquadrature ci ricordano in maniera lampante la tecnica e la simmetria di Stanley Kubrick, maniacalmente precise. La luce è dosata perfettamente a seconda dell’ambiente: dalla colorazione asettica, quasi agghiacciante, dell’ospedale, a quella oscura e più calda degli interni della casa. Il commento musicale scelto dal regista è tagliente, stridulo: delinea le fobie e le ansie dei personaggi efficacemente. Basta sentire quei rumori per sprofondare in un senso di inquietudine che anticipa il parossistico dramma finale: un dramma causato interamente dal cardiochirurgo, l’unico grande colpevole nei confronti di Martin, il quale ha solamente attivato (in maniera inspiegabile, soprannaturale) quel particolare processo di “giustizia” del mondo antico: occhio per occhio, dente per dente. Tu provochi a me un forte dolore, tu stesso devi provare una sofferenza altrettanto grande: solo così si può ristabilire quell’equilibrio naturale che è stato alterato dall’errore commesso. Il riferimento alla tragedia greca è corroborato dall’inserimento nella trama della citazione di Ifigenia in Aulide di Euripide. Ifigenia, figlia di Agamennone, doveva essere sacrificata per far sì che le truppe greche potessero partire per Troia. Dopo essere stata attirata con l’inganno (dicendole di doversi sposare con Achille) in Aulide, sulle coste della Beozia, al momento del sacrificio, la donna viene sostituita con una cerva dalla dea Artemide, salvandola così dalla morte. Per il nostro Stephen, ogni suo parente è potenzialmente Ifigenia: tutti sono sacrificabili per poter porre fine alla “maledizione” nata dal dolore di Martin, questo ragazzo dalla figura a metà tra l’umano e la divinità. Il sacrificio del cervo sacro è un film sull’impossibilità di modificare il destino. È un’opera audace: Lanthimos non è estraneo ai film dalla trama “estrema” (ricordiamo i suoi precedenti Kynodontas, 2009 e The Lobster, 2015) e qui il regista vuole andare oltre l’usuale dramma, cercando di riportare su pellicola l’archetipo tragico della sua terra. Il suo film è una sorta di “antidoto” al mondo moderno, alle sue pretese infondate di perfezione assoluta. Un’opera assurda (per gli standard comuni), una forte critica al presente, un potente monito verso i nostri atteggiamenti superficiali. La pellicola vuole sottolineare la necessità di non sottovalutare le responsabilità delle nostre azioni, perché la superficialità è sempre estremamente pericolosa e può avere ripercussioni su noi stessi e sui nostri cari. Questo è l’insegnamento dell’autore, per il quale non c’è nulla di meglio di questa moderna tragedia greca, saldamente radicata nel suo antico archetipo, ma con lo sguardo volto al nostro presente: questa è l’amara medicina cinematografica degna di un mondo così egoista, malato e disequilibrato che Lanthimos denuncia in ogni sua opera.

Silvio Gobbi