di Alberto Pellegrino
Nel 1921, in occasione del Bicentenario della morte di San Pacifico Divini, è stato girato a San Severino Marche un documentario per la Casa di produzione Attualità Film di Milano con la sceneggiatura, le riprese e il montaggio di Sestilio Morescanti. Il breve filmato è suddiviso in quattro sequenze. Nella prima si vedono la popolazione dei fedeli, il vescovo, i sacerdoti, l’urna del santo, la Banda comunale e il gruppo degli “Artigianelli” di Don Orione dinanzi al Convento di San Pacifico in attesa che si formi la solenne processione. Si avvia la processione con il carro recante l’urna del santo trainato da due cavalli, guidata dal vescovo accompagnato dai sacerdoti, dai canonici e dalla massa dei fedeli. Nella seconda sequenza si vede l’uscita dei fedeli dalla Cattedrale dopo la solenne Messa cantata. Nella terza sequenza viene ripresa l’imponente processione con il carro che trasporta l’urna con il corpo di San Pacifico, il vescovo e il clero, le confraternite, la banda comunale e gli “Artigianelli”. La quarta e ultima sequenza offre una vasta panoramica del pubblico in festa sotto i Portici e nella Piazza Vittorio Emanuele.
La nascita del direttore della fotografia
Tra la fine Ottocento e il primo Novecento, l’operatore cinematografico è il solo tecnico esistente e ha il compito di azionare la macchina da presa, d’impartire istruzioni agli attori, di provvedere allo sviluppo del negativo. I primi operatori sono spesso degli ex fotografi ritrattisti e vedutisti abituati a riprendere scene fisse, perché la fotografia cinematografica non ha ancora una funzione espressiva autonoma. Infatti, le prime macchine da presa sono fisse e quindi non consentono spostamenti; non hanno uno strumento per il controllo preventivo sulla qualità delle immagini, per cui l’operatore non può guardare attraverso l’obiettivo e decidere l’inquadratura più valida, che viene stabilita in modo approssimativo. Agli inizi del Novecento si ha la prima divisione delle funzioni con un operatore addetto alla macchina da presa e un regista a cui è affidata la direzione degli attori e delle riprese. Il salto di qualità avviene in Germania con l’Espressionismo, negli Stati Uniti e in Italia con la nascita dei kolossal storici che richiedono la presenza di tecnici in grado di controllare la complessità dei processi fotografici, perché è diventato necessario l’impiego contemporaneo di più macchine da presa. Si ha pertanto un’evoluzione del linguaggio cinematografico legato a un racconto filmico sempre più strutturato e, dopo il 1910, nasce la figura del direttore della fotografia che guida un team tecnico formato da operatori, elettricisti e macchinisti. Si tratta di un professionista specializzato in grado di assicurare la coerenza figurativa dell’intero film, di curare la scelta dei negativi e degli obiettivi, la disposizione sul set delle fonti naturali e artificiali di luce, di supervisionare i processi di sviluppo e stampa della pellicola.
L’attività di Sestilio Morescanti come direttore della fotografia
Sestilio Morescanti nasce a San Severino Marche il 19 aprile 1879 in Via del Teatro n.9 da Severino e da Clarice Scuderoni e avrà una brillante carriera come direttore della fotografia nel periodo di maggiore sviluppo del cinema muto italiano tra il 1915 e il 1925. Nel corso della sua attività ha partecipato alla realizzazione di film che appartengono quasi tutti al genere sentimentale: Figli sperduti (1917, regia di Nino Martinengo); La duchessa del Bal Tabarin (1917, regia di Nino Martinengo); Veneri, ninfe e sirene (1917, regia di Giovanni Zannini); Strana (1917, regia di Alfredo Robert); Amore che fa morire (1918, regia di Alfredo Robert); Miss Demonio (1918, regia di Gino Zaccaria); Saluto italico (1918, regia di Ugo Bitetti); Un bacio nel sogno (1918, regia di Alfredo Robert e Anthony Merced); Le avventure di un viveur (1920, regia di Emilio Graziani-Walter); La danzatrice ignota (1920, regia di Alberto Sannia); La danza dei gioielli (1920, regia di Stefano Vitale); Tua, soltanto tua (1920, regia di Alberto Sannia); Il fantasma dei laghi (1921, regia di Emilio Graziani-Walter).
I film più importanti di Sestilio Morescanti
Il primo film è La crociata degli innocenti (1916) con la regia di Gino Rossetti, Alessandro Blasetti e Alberto Traversa, con i direttori della fotografia, oltre a Morescanti, Giovanni Vitrotti e Arturo Gallea. Questa storia è poi ritornata in voga: Bertolt Brecht le ha dedicato la ballata La crociata dei ragazzi (1942); nel 2006 è stato girato un nuovo film; nel 2019 è uscito il graphic novel 1212. La crociata dei bambini perduti di Gino Carosini e Marco Mastroianni e Vinicio Capossela ha composto la canzone La crociata dei bambini (2023). Il film parla dei piccoli crociati che nell’estate del 1212 tentano di raggiungere la Terra Santa per liberare il Santo Sepolcro dagli infedeli. Si tratta di fanciulli e di qualche adulto che partono dalla Francia guidati dal pastorello Stefano e decisi a operare con la sola forza della fede e della preghiera. I piccoli francesi raggiungono Marsiglia accompagnati da Ugo Ferreo e Guglielmo Porco e, durante il secondo giorno di navigazione, due navi affondano nei pressi della Sardegna. Le altre cinque navi arrivano ad Alessandria d’Egitto, dove i due adulti, che si rivelano essere due criminali, vendono i fanciulli ai mercanti di schivi saraceni. Un altro gruppo di fanciulli parte dalla Germania sotto la guida di Nicola, un bambino che ha fama di taumaturgo. I piccoli crociati attraversano le Alpi e giungono a Genova, dove Nicola ha promesso che avrebbe aperto le acque come Mosè per arrivare a piedi fino a Gerusalemme, ma il miracolo non si compie e i fanciulli tornano mestamente a casa.
Il secondo film, a cui Sestilio Morescanti partecipa come direttore della fotografia, s’intitola Umanità, scritto e diretto nel 1919 da Elvira Giallanella (1885-1965), recentemente riscoperta e rivalutata, essendo l’unica figura di operatrice cinematografica e di regista-donna nella storia del cinema italiano tra il 1910 e il 1920. Il suo film è stato ritrovato, restaurato e conservato negli archivi della Cineteca nazionale di Roma. La Giallanella fonda nel 1919 la casa di produzione Liana Films con lo scopo di “realizzare film per bambini in cui i bambini stessi fossero protagonisti” e nello stesso anno scrive la sceneggiatura e cura la regia di Umanità, un film interpretato da due bambini e in gran parte girato tra Gorizia e il Carso, in quei luoghi dove poco prima si è combattuta la Grande Guerra.
Elvira incontra però serie difficoltà per collocare il film sul mercato; inoltre esso non compare mai con il titolo originale ma con quello di Tranquillino dopo la guerra vuol fare il mondo nuovo, lo stesso del poemetto scritto da Vittorio Emanuele Bravetta che ha ispirato la regista. Il film vede tra i pochi adulti presenti sul set il direttore della fotografia Sestilio Morescanti “benché anche questo, dopo che si era notevolmente accorciato i baffi, (poteva) scambiarsi per un…bambino precoce” (Marnie Campagnaro, La grande guerra raccontata ai ragazzi, Donzelli, Roma, 2015, pp. 97-98). La Giallanella adatta il soggetto e la sceneggiatura, collocando la storia nel contesto storico del dopoguerra, per cui il tema principale diventa la pace fondata sulla solidarietà e sul benessere. I protagonisti sono due bambini rimasti orfani dopo una terribile catastrofe che ha distrutto il pianeta Terra e sono accompagnati da uno gnomo. Essi scoprono che è impossibile qualsiasi ricostruzione, perché i segni della violenza e della distruzione sono sparsi ovunque: Tranquillino, nonostante la sua buona volontà, si ritrova a fare quasi sempre dei danni insieme alla sua compagna Sirenetta. Solo nel finale si vedono persone al lavoro nelle fabbriche, nei campi, nelle miniere, mentre le didascalie lanciano messaggi di speranza: “Lavoro per ognuno- pane per tutti- ozio per nessuno”; “I popoli hanno il bene che sanno conquistare con la loro virtù, non con la violenza”. Alla fine compare Gesù seguito da uno stuolo di bambini e si legge questa didascalia conclusiva: “Sacrificarsi per un ideale di umanità, non uccidere i propri fratelli”, un inno alla pace basato sui valori della fratellanza e dell’uguaglianza in una commistione degli ideali socialisti e cristiani.
Elvira Giallanella, che aveva iniziato negli anni Dieci a occuparsi della produzione e distribuzione cinematografica con la società Vera Film, si ritira dal mondo del cinema probabilmente negli anni Venti e conduce una vita appartata nella sua casa di Roma fino alla morte (cfr. Micaela Veronesi, Una donna vuol rifare il mondo. Umanità di Elvira Giallanella in Monica Dall’Asta, Non solo dive. Pioniere del cinema italiano, Cineteca di Bologna, 2008).
Il terzo film è Il fabbro del convento (1922) con la regia di Vincent Dénizot, tratto dal romanzo di Pierre-Alexis Ponson du Terrail, con i direttori della fotografia Sestilio Morescanti e Silvio Cavazzoni (una copia è conservata presso il Museo nazionale del Cinema di Milano). La storia è ambientata nel 1780 e inizia quando a Orleans il cavaliere Raoul affida a Dagoberto, il fabbro del Convento della Cour de Dieu, la figlia di un suo compagno d’arme. In una lettera spiega al priore, padre Girolamo, di voler sottrarre la bambina all’avidità dei parenti che cercano d’impadronirsi delle sue ricchezze. Otto anni dopo Giovanna è ormai una fanciulla di 18 anni e conquista l’amore del conte Luciano di Measures, che rompe il fidanzamento con la cugina Aurora. Con l’aiuto di Antonia la zingara, la madre di Luciano e il padre di Aurora s’impossessano del patrimonio di Giovanna, ma sono a loro volta derubati dalla zingara. Allo scoppio della Rivoluzione francese Aurora e Giovanna, che lavorano a Parigi come lavandaie, sono riconosciute e arrestate. Dopo alterne vicende e dopo avere rischiato più volte la morte, grazie all’intervento delle “Maschere Bianche” e del poliziotto Mouret, Giovanna riesce a fuggire, a sposare Luciano, a sventare gli intrighi della zingara Antonia e a ritornare in possesso delle sue ricchezze, mentre Aurora sposa il fabbro Dagoberto che nel frattempo ha fatto carriera nell’esercito.
Le immagini sono tratte dal documentario su San Pacifico (girato nel 1921) di proprietà del signor Remo Travaglini