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Massimo Altobelli
Massimo Altobelli

«Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare società appagata e appiattita»

Comincio citando l’inizio dell’art.11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (…)”.

Da questa affermazione di principio si deduce che l’Italia riconosce la pari dignità degli altri popoli che non può essere offesa con la privazione della libertà che inevitabilmente si produce con una guerra di conquista. Tuttavia, posto questo limite invalicabile, domandiamoci perché mai nella Storia tale limite venga invece continuamente disatteso, adducendo ogni volta le più svariate motivazioni a giustificazione di un gesto di per sé ingiustificabile?

Evidentemente l’uomo pur riconoscendo il valore di determinati principi, poi, ad un certo punto, decide di calpestarli. Prevale in quel momento una volontà di dominio e di possesso che azzera la benché minima consapevolezza del valore dell’altro, il quale viene percepito come un oggetto da possedere e, se si oppone, un nemico da abbattere. E ciò accade perfino in famiglia come vediamo tragicamente sempre più spesso.

Emerge pertanto quella che possiamo definire una debolezza strutturale della persona, sempre sospesa tra Bene e Male, da cui nessuno può sentirsi escluso.

Ma come può l’uomo evitare di compiere il male se neanche la volontà si rivela sufficiente a fermarlo? Ci viene in aiuto S.Paolo che nella lettera ai Romani al Cap.7, 18-25 afferma:

“Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.”

Poi continua dicendo: “Eccomi dunque, con la mente, pronto a servire la legge di Dio, mentre, di fatto, servo la legge del peccato. Me infelice! La mia condizione di uomo peccatore mi trascina verso la morte: chi mi libererà? Rendo grazie a Dio che mi libera per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore.”

Il cristianesimo si pone dunque come proposta di superamento del Male mediante la presenza di Dio stesso nella Storia, attraverso la venuta di Suo Figlio Gesù che rinnova il rapporto con Dio chiamandolo “Padre” e quello tra gli uomini definiti, per la prima volta, “fratelli”.

Ecco a quale livello si pone la questione della convivenza in questo mondo: è a partire dal riconoscimento dell’altro come valore in sé, pari al mio valore. Tuttavia perché ciò accada occorre essere continuamente educati al riconoscimento del valore dell’altro, a partire dalla famiglia e dalla scuola che sono i due principali ambiti educativi.

Si tratta di maturare un’apertura reciproca che valorizzi le diversità per un arricchimento comune. Solo così potrà nascere un’ autentica cooperazione tra le persone e tra i popoli.

Occorrerebbe in sostanza allargare lo sguardo sull’altro per cogliere in tutti lo stesso desiderio di compimento di sé e di felicità che ci caratterizza come esseri umani.

Invece già un decennio fa, nel 2010, il Censis ha individuato la natura della crisi che viviamo da tempo in Italia, ma possiamo ben dire in tutto l’occidente, in un «calo del desiderio» che si manifesta in ogni aspetto della vita. Abbiamo meno voglia di costruire, di crescere, di cercare la felicità.

A questo fatto andrebbe attribuita la responsabilità, dice ancora il rapporto, delle «evidenti manifestazioni di fragilità, sia personali, sia di massa, comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattivi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e di futuro».

Non suonano forse ancora più attuali che mai queste parole? E quindi si capisce che nel vuoto apparente delle vite anonime delle moderne società, specie in Europa, ahimé, ci sia il tiranno di turno che ne approfitta per lanciarsi nella costruzione del suo impero calpestando tutti e tutto. Dunque la crisi della società italiana, e in generale occidentale, è sì sociale, economica e politica, ma è soprattutto antropologica perché riguarda la concezione stessa della persona, della natura del suo desiderio, del suo rapporto con la realtà. Ci eravamo illusi che il desiderio si sarebbe mantenuto in vita da solo o addirittura che sarebbe stato più vivo nella nuova situazione di benessere raggiunto. L’esperienza ci mostra, invece, che il desiderio può appiattirsi se non trova un oggetto all’altezza delle sue esigenze.

Ci ritroviamo così tutti «sazi e disperati». Paradossalmente, i nostri nonni e genitori erano umanamente meglio attrezzati per affrontare simili sfide. Il Censis centra di nuovo il bersaglio quando identifica la vera urgenza di questo momento storico: «Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare una società troppo appagata e appiattita». Ma chi o che cosa può ridestare il desiderio?

È questo il problema culturale della nostra epoca. Con esso sono costretti a misurarsi tutti coloro che hanno qualcosa da dire per uscire dalla crisi: partiti, associazioni, sindacati, insegnanti. Non basterà più una risposta ideologica, perché di tutti i progetti abbiamo visto il fallimento. Saremo perciò costretti a testimoniare un’esperienza. Anche la Chiesa, il cui contributo non potrà limitarsi a offrire un riparo assistenziale per le mancanze altrui, dovrà mostrare l’autenticità della sua pretesa di avere qualcosa in più da offrire. Come ha ricordato Benedetto XVI, «il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà». Dovrà mostrare che Cristo è così presente da essere in grado di ridestare la persona – e quindi tutto il suo desiderio – fino al punto di non farla dipendere totalmente dalle congiunture storiche. Come? Attraverso la presenza di persone che documentano un’umanità diversa in tutti i campi della vita sociale: scuola e università, lavoro e imprenditoria, fino alla politica e all’impegno nelle istituzioni. Persone che non si sentono condannate alla delusione e allo sconcerto, ma vivono all’altezza dei loro desideri perché riconoscono presente la risposta. Possiamo sperare di uscire dalla drammatica situazione attuale se tutti – compresi i governanti che oggi hanno la difficile responsabilità di guidare il Paese attraverso questa profonda crisi, resa ancora più dura dalla guerra – decidiamo di essere veramente ragionevoli sottomettendo la ragione all’esperienza, se cioè, liberandoci da ogni presunzione ideologica, siamo disponibili a riconoscere qualcosa che nella realtà già funziona.

Allora il primo contributo che possiamo dare al bene di tutti è sostenere chi, nella vita sociale e politica, non si è rassegnato a una misura ridotta del proprio desiderio e per questo lavora e costruisce mosso da una passione per l’uomo.

Massimo Altobelli

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