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Giuliano Grittini
Giuliano Grittini

Terra di luce. Il mondo femminile di Giuliano Grittini e il ritorno alla Pachamama di Shura Oyarce

di Alberto Pellegrino

Nella Pinacoteca civica si è inaugurata sabato 9 febbraio alla presenza di un folto pubblico e dell’assessore alla cultura, Vanna Bianconi, la mostra Terra di luce dedicata alle opere dell’artista milanese Giuliano Grittini e della pittrice Shura Oyarce Yuzzelli, ormai settempedana d’elezione. La mostra resterà aperta fino al 23 febbraio.

Giuliano Grittini è un fotografo, pittore e incisore di livello nazionale che ha tenuto diverse Mostre personali e collettive e ha partecipato a numerose Mostre d’Arte nazionali e internazionali. Come fotografo si occupa soprattutto del ritratto, uno dei generi fotografici più complessi e soggettivi, perché basato sulla stretta relazione che deve intercorre tra il fotografo e il soggetto, al quale l’autore restituisce un’immagine nuova che va considerata nella sua interezza e che serve soprattutto raffigurare il soggetto per quello che rappresenta la sua personalità, per cui è necessaria una reale partecipazione e consapevolezza della persona fotografata.
Oltre a realizzare opere fotografiche in bianco e nero, Grittini mette insieme le sue doti di fotografo, di grafico e di pittore per realizzare delle immagini che nascono da un lavoro di contaminazione ottenuto attraverso la fotografia digitale e il lavoro al computer, immagini dominate dal rosso e dall’oro, arricchite da simboli grafici e da frasi e versi di poesia. Dice Grittini: “Io faccio solo ritratti a persone e non a paesaggi. Per scattare fotografie a una persona devi entrare in sintonia con lei. Puoi, certo, anche scattare una foto a uno sconosciuto, ma non è stimolante. Invece, quando conosci una persona e la fotografi regolarmente, segui l’evoluzione della sua vita.
Come fotografo e stampatore d’arte ha lavorato con i più importanti artisti italiani, ma l’incontro che ha segnato la sua vita e la sua arte è stato con la poetessa Alda Merini, alla quale è rimasto legato da sincera amicizia per circa venti anni. Si è trattato di un’amicizia sincera che ha permesso all’autore di numero straordinario di ritratti nei quali egli è riuscito a cogliere il gesto, il volto, abitudini di vita e l’anima della donna e dell’artista poetessa, riuscendo a costruire un romanzo iconografico della sua vita e della sua poesia. Del resto la stessa Merini, parlando della fotografia, ha detto: “Niente è più deleterio dell’immagine e niente è più resistente. Il fotografo consegnerà ai posteri una sua interiorizzazione, una realtà che spesso sfugge alla persona stessa. È questo il mistero della fotografia”. Grittini è riuscito a decifrare il mistero di questa donna che era contemporaneamente “angelo” e “demonio”, che era un groviglio di passioni profonde e di respingimenti improvvisi, che aveva occhi intensissimi capaci di “parlare” e di recitare poesie, occhi di dolore e di gioia. “Una diva nata – dice Grittini- che attirava tutti nella sua rete e che aveva il dono dell’affabulazione.”
Da questa lunga frequentazione sono nati diversi libri che Grittini ha dedicato alla poetessa, tra i quali vanno ricordati Fotografie e Aforismi di Alda Merini – Ringrazio sempre chi mi dà ragion, Aforismi di Alda Merini, Fotografie e poesie di Alda Merini, Colpe di immagini, Alda Merini, una vita per immagini, Merini e Marylin, Donne di Cuori. La poetessa l’ha ricambiato dedicandogli questi versi: “Ti ho odiato e amato insieme/come una rosa di spine/che bruciano di desiderio/e non vorrei essere da te/mai colta;/è così bello crescere in ombra/e pregare che Dio ti distrugga/perché Artemide vuole così/la morte di tutti/i suoi amori”.
Alda Merini (1931-2009) è stata una poetessa inimitabile e unica nel panorama italiano e forse mondiale, al di fuori di ogni corrente letteraria, perché ha scritto di getto poesie dense come la carne e violente come il sangue, tragiche e appassionate: “Faceva paura Alda Merini. Metteva allegria Alda Merini, dava gioia e poteva spaventare. Come un’equilibrista sul filo tra speranza e demenza ci imponeva di guardarla lassù, dove anni di spaventoso esercizio, l’apprendistato del dolore, l’avevano condotta” (Aldo Nove).
Alda Merini ha iniziato a scrivere versi a 15 anni senza mai tradire la sua vocazione, cercando sempre la verità al di fuori della normalità, al di fuori delle regole della vita borghese, riuscendo a essere sempre umana, a trarre ispirazione dalla quotidianità e a trasformare la parola in poesia. È riuscita a superare il tempo e le correnti letterarie per diventare attualissima ed essere la voce di tutti noi, perché ha saputo essere inclusiva e coinvolgente grazie al suo limpido linguaggio con il quale raccontava se stessa senza calcoli e opportunismi, esponendo una personalità naturalmente teatrale che aveva la capacità di trasformare in spettacolo il disagio e il dolore, di esibire se stessa con il corpo, la voce e le parole. I suoi versi manifestano gli slanci, le delusioni, il continuo bisogno d’amore, senza mai nascondersi dietro una maschera, sempre pronta a pagare di persona il suo percorso poetico e di vita, i suoi amori e le sue sofferenze, il dramma del manicomio e della follia.
La Merini aveva una vena poetica estremamente fertile che ha riversato in migliaia di versi disseminati in piccole pubblicazioni, fino a quando nel 1984 appare il suo capolavoro La Terra Santa, seguito nel 1995 da Ballate non pagate, il libro con cui vince il Premio Viareggio. Finalmente nel 1998 Einaudi pubblica, a cura di Maria Corti, l’antologia Fiore di poesia 1951-1997 che raccoglie tanti versi sparsi nei libri di varie case editrici e che offre finalmente un panorama esauriente della sua produzione poetica. Nel 2000 esce Superba è la notte seguita da Clinica dell’abbandono (2004) e nel 2001 la Merini è candidata al Premio Nobel. Non bisogna poi dimenticate che nella sua poesia scorre da sempre una vena mistica rivolta a una continua ricerca di Dio, la quale culmina con il trittico Corpo d’amore. Un incontro con Gesù (2001), Magnificat. Un incontro con Maria (2002), Cantico dei Vangeli (2006), tre opere che sono tra le espressioni più alte di poesia religiosa del Novecento.
Nella mostra, oltre alla presenza di personaggi noti come Sofia Loren, Brigitte Bardot, Frida Kalo e Lady Diana, Grittini ha affiancato alla Merini la figura di Marilyn Monroe, stabilendo un contatto profondo con questa diva per allontanare da lei quell’immagine di “mangiatrice di uomini” costruita dal mercato della celluloide, per mettere in evidenza la parte più nascosta di una donna che voleva essere soprattutto una “persona” e che ha pagato questa sua aspirazione con la sofferenza, la depressione, una morte prematura e per molti versi misteriosa.
Grittini ha poi completato il suo universo femminile con i ritratti di Vojsava Cashuaj, una giovane donna nata a Valona in Albania, la quale da circa venti anni risiede a Taranto, dove è impegnata come operatrice culturale, un lavoro eseguito con generosità e rivolto soprattutto agli stranieri che vivono nel comprensorio ionico, ai quali elargisce consigli per apprendere la lingua italiana, per conoscere la cultura, i diritti e i doveri del paese che li ospita. Vojsava, che ha conosciuto anche lei la sofferenza fisica e il dolore, è diventa per Grittini una figura ispiratrice di numerose opere che la ritraggono in modo seduttivo, attraverso un gioco di immagini misteriose, le quali formano come un diario pittorico, scritto con fotogrammi suggestivi ed enigmatici, che trasmettono verità apparentemente soggettive, che si rivelano essere delle realtà universali.

La seconda parte della mostra è dedicata alla opere di Shura Oyarce Yuzzelli, un’artista di origini peruviane che da riverso tempo risiede e lavora nella nostra città, mettendo in evidenza con la sua arte una personalità complessa e intensa. Le sue opere, caratterizzate da una forte coerenza stilistica, richiedono un impegnativo percorso di decifrazione, perché ci troviamo di fronte a un’arte borderline che emerge dal profondo per portare in superfice pulsioni e sentimenti difficilmente razionalizzabili, che sono il segno di una notevole forza interiore e di un’inquietudine legata alla saudade, quel misterioso e sotterraneo sentimento tipicamente ispano-americano e difficile da decifrare per noi europei. L’ambiguità diventa il segnale di una costante divisione tra colore, segno astratto e presenza fortemente materica, formando un insieme che rende l’arte di Shura criptica e coinvolgente, legata a ricordi e amori lontani, a verità e sentimenti nascosti nel buio dell’anima per poi affiorare in superfice e rendere visibile ciò che non è visibile, per dare voce al silenzio interiore. Queste sue forme cromatiche e materiche rappresentano un ancoraggio alle sue radici culturali, le quali trovano il loro humus naturale nel remoto e mitico mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, in quella sua terra così lontana e così ricca di antiche tradizioni, un patrimonio che costituisce la sorgente e la linfa costante della sua ispirazione.
Shura è un’artista che “disegna” i pensieri, che riesce a far emergere dal “profondo” un vissuto difficilmente esprimibile con le parole. In una pittura così fortemente segnata da pulsioni subliminali, il colore gioca un ruolo fondamentale proprio come riscoperta onirica dei contenuti, poiché “la bellezza dei colori del sogno non è che una ripetizione di quella vista nel mondo” (Sigmund Freud). Nella serie di quadri esposti in mostra l’autrice ha voluto rendere omaggio alla Grande Madre, alla “Pachamama”, la dea della fecondità e della prosperità, della consolazione e del dolore, la divinità della terra dal cui grembo scaturisce ogni forma di vita, facendo germogliare tutte le forme ed espressioni dell’esistere.
Secondo la cosmogonia del popolo Inca si pensa che il mondo abbia avuto inizio dalle nozze tra la Grande Madre e il dio del cielo “Pachacamac” e, proprio facendo riferimento a questo mito, Shura ha voluto celebrare l’immagine della donna come portatrice della vita e come simbolo delle più nobili virtù umane, ma ha anche voluto rendere omaggio alla Terra attraverso delle opere dove la solidità e la materialità, la tenacia e la perseveranza dei marroni si confronta con l’indeterminatezza dei grigi. Vi sono poi dei nuovi lavori dominati dal rosso, un colore che esprime passione e spiritualità, coraggio e desiderio di affermazione, ma che raffigura anche sofferenza e crisi esistenziale. Si tratta di opere assolutamente materiche, percorse da forti tensioni che sono ancorate allo spazio e che si dilatano fino a raggiungere un’audace tensione drammatica. In esse il colore unico si accende come una scintilla divina per dare vita a una materia inerte, per trasformarla in fuoco, per irrorarla di sangue, la linfa vitale che circola in tutto il corpo per arrivare fino all’anima, sede dei nostri sentimenti affettivi e relazionali più profondi e segreti.

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