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Home | Cultura | La recensione del film: “Loro 1”, il beneficio del dubbio
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Servillo interpreta Silvio Berlusconi
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La recensione del film: “Loro 1”, il beneficio del dubbio

Pubblicato da Mauro Grespini in Cultura 1,635 Visite

«Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior». Così cantava De André, ma non aveva visto la prima parte di Loro, ultima opera del regista premio Oscar Paolo Sorrentino, nella quale i “diamanti” sono letame dal quale non nasce, né può nascere, nulla. In questa pellicola, capiamo che dallo sterco nasce altro sterco, perpetuamente: il primo tempo è una gigantesca orgia di potere, dove risulta evidente come il sesso detti le regole nel mondo dello spettacolo e della politica (una vecchia storia che tutti conosciamo: le alte sfere come un turbine di cocaina e liquidi seminali). Nel marasma, la firma stilistica di Sorrentino non manca, anzi, a tratti è esasperata e grottesca. Il regista realizza un’opera dal montaggio quasi serrato, con delle scene e inquadrature a volte tracotanti. Inoltre, non potevano mancare gli animali leggermente ermetici tanto cari all’autore (la pecora, all’inizio del film, ed il ratto come simbolo dello sporco della Capitale e del Paese intero). Il primo tempo, come detto, punta all’esasperazione, ed è girato in maniera sincopata, senza prendere fiato (fondamentalmente, è come se il regista volesse amplificare alcuni aspetti già presenti ne La grande bellezza, 2013). Mentre il pubblico aspetta l’arrivo della figura di Silvio Berlusconi (dato che il film è incentrato su di lui), bisogna sorbirsi questa prima parte (poco riuscita). Per essere buoni, ragioniamo in questo modo: magari il regista ha intenzione di realizzare un film non solo su Berlusconi, ma anche sul potere in generale, e quindi tutto questo primo tempo, pieno di malizia, è letteralmente il letame per “fertilizzare” la seconda parte, dove dovrebbe emergere il “prodotto/protagonista” della storia. Ma, pur vedendola da questa ottica, la realizzazione non è lo stesso efficace: troppa carne al fuoco che Sorrentino non riesce a cuocere, «un trionfo di culi e tette, strisce di cocaina, questuanti che scambiano ragazze con favori negli appalti, mamme che scaldano i sofficini ai pupi, poi escono per farsi strada nella vita. Intanto lo spettatore si chiede: non era meglio tagliare un po’ di carnazza e arrivare al dunque?»[1]. Sì, se avesse tagliato molto di più il primo tempo, realizzando un unico film, il prodotto sarebbe stato sicuramente molto più efficace. Ma il regista non sa resistere a quella vena che oscilla tra un ridondante barocco cinematografico, incentrato sull’eccessività delle immagini, ed un debole manierismo volto a dare una sorta di ordine e senso: un equilibrio difficile da raggiungere, ottenendo, invece, un difficilmente apprezzabile prodotto (distante come “Dio”, l’oscuro e potente personaggio dal viso coperto che appare nel film, inavvicinabile e impenetrabile, precluso a chiunque). In questo film, Sorrentino cita palesemente The Wolf of Wall Street (Martin Scorsese, 2013), non solo nel rappresentare l’ambiente dissoluto, ma anche perché l’intera sequenza girata dal regista nella villa con piscina in Sardegna è un palese rifacimento dei party già girati nel film di Scorsese (con tanto di pasticche volanti e di voce che spiega gli effetti della droga: proprio come il regista americano aveva già fatto!). Fortunatamente, dopo questa ora abbondante di strisciate e orgasmi, appare il personaggio chiave della storia: Silvio Berlusconi (interpretato da Toni Servillo). Come per Il divo (2008), Servillo è costretto a mutare la sua figura, diventando la maschera di un importante personaggio politico. Per quel poco che vediamo, egli riesce ad emulare in maniera sufficientemente efficace lo stile di Berlusconi (molto abile nel mascherare il suo accento napoletano con un tono milanese da cummenda). Purtroppo, la parte dedicata a “Lui” è troppo breve e risente troppo del pessimo primo tempo caotico, fondamentalmente senza trama, più divertente per il regista che lo ha realizzato che per il pubblico che lo guarda. Sorrentino è un regista che lavora bene quando è costretto a darsi dei limiti: non a caso, i suoi migliori lavori sono proprio i primi, quando ancora non aveva raggiunto la popolarità da Oscar (ricordo principalmente Le conseguenze dell’amore, 2004). Ora, dopo aver vinto l’Oscar, ogni freno inibitore è perduto. Comunque, è ancora presto per giudicare definitivamente questo lavoro: dobbiamo aspettare il 10 maggio l’uscita della seconda ed ultima parte, nella quale il regista o confermerà la scarsa riuscita di quest’opera, o rispolvererà le doti cinematografiche che nel passato ha saputo dimostrare. Per ora, possiamo solo concedergli il beneficio del dubbio e sospendere ogni giudizio definitivo.

Silvio Gobbi

Nota
[1] Mariarosa Mancuso, Che delusione il film su Berlusconi dove quasi non c’è traccia di Berlusconi, «Il Foglio», 24 aprile 2018, p. 2.

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recensione cinematografica 2018-04-27
+Mauro Grespini
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