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Piccoli crimini coniugali
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Piccoli crimini coniugali: dramma di coppia che poteva dare di più

Piccoli crimini coniugali (basato sull’opera omonima del drammaturgo e scrittore francese Éric-Emmanuel Schmitt) di Alex Infascelli (2017) è il quinto film proiettato per la rassegna “I teatri di Sanseverino”. La storia è incentrata su solo due personaggi: Elia (Sergio Castellitto), uno scrittore di romanzi gialli, innamorato della coniuge (senza essere un consorte eccezionale nella vita privata), e sua moglie (Margherita Buy), una donna frustrata che ama e odia il marito al contempo, del quale non riesce a fare a meno. Elia è da poco uscito dall’ospedale, dove era stato ricoverato a causa di un trauma cranico, ma non ricorda nulla di come sia accaduto. Una volta tornato a casa, cerca di ricostruire con sua moglie la sua vita, la sua storia. Quando la memoria “tornerà”, l’intera vicenda si baserà sulla crisi della coppia, sui dilemmi irrisolti, sulle gelosie, sui rimpianti. Durante lo svolgimento del film, emergono quei “piccoli crimini coniugali” che molte coppie compiono per mandare avanti il loro rapporto: un’unione spesso forzata, dettata dall’abitudine, dalla paura di cambiare o dalla paura di perdere la propria metà (i classici problemi coniugali già parecchio rappresentati al cinema).
Il ritmo della narrazione non è dei migliori: il primo tempo può risultare un po’ lento, quasi statico, poi, nella seconda parte, la narrazione si velocizza leggermente di più, ma senza ottenere un crescendo efficace. Gli attori sono molto bravi, perché risultano naturali nel loro ruolo di coppia in crisi (Margherita Buy e Sergio Castellitto sono due attori con molta esperienza, e si vede). La pellicola è interamente pervasa da un’ambientazione scura e grigia: l’oscurità e la cupezza rispecchiano l’animo devastato della coppia, fatta più di ombre che di luci. Questa fusione tra sentimenti e ambiente è ottenuta grazie all’ottimo lavoro di Arnaldo Catinari, un direttore della fotografia di grande esperienza (egli ha curato, tra i vari film, lavori come Vallanzasca – Gli angeli del Male, di Michele Placido; Mia madre, di Nanni Moretti e un cult del cinema indipendente Girotondo, giro intorno al mondo, di Davide Manuli). La scelta di realizzare un lungometraggio in un unico luogo, con solo due attori, è una prova veramente seria e difficile per un regista: il film risulta discreto, ma il grande potenziale dell’opera non si è sviluppato al massimo. La regia e la sceneggiatura non sono riuscite a penetrare profondamente nella crisi della coppia: è come se il prodotto fosse rimasto a metà, oscillando tra una buona idea e un mancato slancio finale. Quando si decide di realizzare un’opera con due soli attori, l’autore deve puntare (più che in ogni altro genere di film) tutto sul ritmo e sulla sceneggiatura, perché bisogna far dire e fare ai personaggi ciò che il pubblico non può aspettarsi. Uno degli ultimi film realizzati con solamente due attori è Venere in pelliccia (La Vénus à la fourrure) di Roman Polański (2013): una storia pienamente riuscita, con un continuo crescendo che non conosce rallentamenti nel corso del suo sviluppo. Se Piccoli crimini coniugali avesse avuto il ritmo del film qui sopra citato e la profondità del malessere di una coppia borghese medio-alta (come, per esempio, è riuscito a fare Ingmar Bergman in Scene da un matrimonio nel 1973), il film di Infascelli sarebbe stato di gran lunga superiore a quello che ha effettivamente realizzato.

Silvio Gobbi

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