Quello di sabato 15 giugno è stato un pomeriggio speciale per la comunità settempedana perché, dopo quasi 15 anni, è stata riaperta al culto la chiesa di San Giuseppe. Il vescovo Francesco Massara, assieme al parroco don Aldo Romagnoli e agli altri sacerdoti e religiosi della città, ha spalancato – poco dopo le ore 18 – il grande portone che si affaccia sulla Piazza del Popolo. Tantissimi fedeli hanno partecipato alla cerimonia; fra loro anche il sindaco Rosa Piermattei e diversi rappresentanti dell’Amministrazione e consiglieri comunali. E’ intervenuto inoltre l’architetto Luca Maria Cristini, che ha coordinato l’intero progetto di restauro, il quale, d’accordo con il parroco don Aldo, terrà a breve un incontro serale in chiesa per raccontare le vicende e i lavori fatti sulla chiesa, spiegando anche perché l’altare bruciato sia stato ricostruito così…
Intanto la chiesa è aperta al culto (al posto del “San Domenico”) e ogni mattina – dal lunedì al sabato – ospita la messa delle ore 8.30; poi ogni domenica sono previste tre messe: alle 9, alle 11.30 e alle 18.30.
L’edificio è stato riparato prima dalle “ferite” del terremoto del ’97, poi dall’incendio del 2009 causato da un corto circuito e infine dal “colpo” del sisma 2016 che aveva minacciato di crollo il campanile. Le opere sono state eseguite grazie ai fondi per la ricostruzione, a quelli della Cei (8 per mille) e al risarcimento danni riconosciuto dall’assicurazione. Inoltre, la solidarietà di molti ha permesso di restaurare le opere interne.
In particolare fa bella mostra di sé un nuovo altare, di foggia antica, ma costruttivamente contemporaneo: un’opera “in rigatino” in sostituzione di quello bruciato nel 2009, dove è custodita la statua della Madonna di Lourdes – ribattezzata la “Madonnina resiliente” – che ha resistito a un incendio e a due terremoti.
Complessivamente sono state impegnate risorse per un milione e 350 mila euro circa.
La celebrazione eucaristica è stata molto partecipata, la chiesa era gremita. I canti sono stati eseguiti dai cori uniti delle diverse parrocchie. Nell’omelia il vescovo Massara ha detto che “la riapertura di questa chiesa deve spingerci verso l’unità pastorale per imparare a lavorare insieme”. Poi ha aggiunto che il prossimo obiettivo su cui focalizzerà la sua attenzione sarà la ricostruzione del “Don Orione”: una struttura che “deve ritornare a essere il luogo dove far giocare e ritrovare i propri figli e i propri nipoti”.
Il sindaco Rosa Piermattei, al termine della funzione religiosa, ha ripercorso le tappe che hanno riportato alla riapertura di San Giuseppe, mentre l’architetto Luca Maria Cristini ha ringraziato tutti coloro che hanno lavorato per raggiungere questo traguardo: i tecnici Sandro Castelli, architetto, Fabrizio Cioppettini, ingegnere, Franco Monteverde, geometra (“Gruppo Marche” Macerata); Roberto Baldassarri, ingegnere, coordinatore della sicurezza; i geologi Alessandra Lenzi e Roberto Ranciaro; l’ngegnere Stefano Tallei per il progetto dell’impianto di riscaldamento. E poi le aziende coinvolte: Impresa Lapucci Gino (subappaltatori minori – appaltatrice in ATI), Pieri Nino (Urbino, restauri in ATI, prima impresa), Impertecno (restauri in ATI, impresa subentrata, Roma), Mastro T di Emanuele Ticà (restauri, falegnameria, antitarlo, San Severino), Sante Basilli (elettricista, Ussita), Michele Pericoli (elettricista, Pieve Torina), Formentelli (organaro, Camerino), AlBa (Adriano e Luigi Bardeggia, campane, Tavoleto).
A margine della celebrazione eucaristica è stata anche scoperta una targa per ricordare i lavori di restauro e il solenne momento della riapertura.
Cronistoria dei lavori
Mentre la chiesa attendeva opere di miglioramento sismico conseguenti ai danni e alle carenze strutturali evidenziate a causa del terremoto del 1997 – in seguito al quale si erano solo eseguiti degli interventi provvisori di messa in sicurezza – un incendio, divampato in chiesa il 31 dicembre 2009 per un cortocircuito elettrico, aveva attaccato e distrutto completamente l’altare laterale destro, mentre i fumi avevano deturpato gli oltre mille metri quadrati di superficie decorata interna con un’uniforme patina marrone. Solo nel 2013, dopo una lunga trattativa con l’assicurazione e con gli Enti preposti alla ricostruzione, compiuto l’ iter progettuale e grazie anche al contributo dell’8 x 1000 della Cei, si era riusciti ad avviare i complessi i lavori di restauro. Questi nell’autunno del 2016 stavano volgendo al termine: la componente strutturale era pressoché conclusa, mentre si stavano ancora eseguendo le più lunghe e delicate opere di pulitura e restauro degli apparati decorativi plastici e pittorici.
Poi il terremoto. I fenomeni sismici dell’agosto e dell’ottobre 2016 hanno trovato, comunque, strutture opportunamente rinforzate, fatto questo che ha scongiurato nuovi danni all’edificio, che ne è uscito sostanzialmente indenne. A pagare pegno è stato però il campanile, sul quale non si erano eseguiti interventi, perché non aveva evidenziato criticità in seguito al più debole sisma Umbria-Marche 1997. Il terminale in muratura e lamina di piombo della cella campanaria, perso l’appoggio di base a causa dal fortissimo sisma del 30 ottobre, era rimasto precariamente sostenuto dal solo perno centrale in legno e minacciava di cadere. Così l’1 novembre 2016, con un intervento di somma urgenza, i Vigili del fuoco hanno provveduto a imbragarlo, liberarlo dall’ultimo sostegno e, con un’altissima gru, a calarlo a terra. Di qui un lungo stop ai lavori, finché non si è individuata – tra il complesso sistema delle ordinanze per la ricostruzione – la modalità per far ripartire i lavori di un cantiere legato a un terremoto precedente, che ha subito danni a causa di uno successivo: praticamente si trattava di un caso unico nel cratere marchigiano. In ogni caso la tenacia di chi ha voluto a tutti i costi portare a termine i lavori e il fattivo impegno dell’ingegner Cesare Spuri – allora dirigente dell’ufficio per la ricostruzione – e dei suoi collaboratori hanno permesso la ripresa del cantiere. Nel 2021 è stata finalmente approvata la variante al progetto originario, con un finanziamento aggiuntivo per coprire i nuovi danni. Tra le opere da terminare c’era anche la problematica ricostruzione dell’altare perduto nell’incendio. L’opera non era stata mai appaltata, in quanto il progetto definitivo – in attesa di approvazione dal 2018 – ha avuto il nulla osta solo nell’autunno 2022.
La ricostruzione dell’altare bruciato
Le fiamme del 2009 hanno distrutto l’altare laterale destro. “Seppure fosse oggetto di non enorme valore artistico – spiega l’architetto Luca Maria Cristini -, tuttavia lo spazio interno della chiesa, costruita ex novo nel secolo XVII, è caratterizzato da una perfetta euritmia e nonostante l’altare perduto non abbia più alcuna funzione liturgica, ci si è resi conto che non poteva restarne menomato. Il nostro obiettivo era dunque “il restauro dello spazio” nel tentativo di ripristinare l’euritmia interna, sbilanciata dalla perdita di quanto bruciato”.
L’ipotesi, dunque, è stata quella – mutuata dalla metodologia ormai consolidata nella reintegrazione di parti nelle opere d’arte, in particolare nei dipinti – di applicare la prassi della cosiddetta “semplificazione”, ovvero di realizzare un elemento di reintegro che permetta di nuovo la percezione dell’unità spaziale della chiesa, ma, allo stesso tempo, ne denunci l’epoca di costruzione. L’approfondimento del progetto ha portato alla soluzione di completare il vuoto lasciato dalle fiamme con un elemento costituito da lame orizzontali in legno, assicurate ad una struttura metallica di ancoraggio al muro. Da questa elaborazione, sottoposta poi alla definitiva approvazione della Soprintendenza, è risultato l’elemento messo in opera in chiesa, realizzato con elementi in multistrato di betulla dello spessore di 3 cm e profilati secondo lo schema esecutivo attraverso una macchina a controllo numerico. Queste lame sono state trattate con vernice di finitura in due divere nuances di marrone, con un impregnante ignifugo e messe in opera con intervallo di 3 cm sull’intelaiatura metallica completamente invisibile. Allo sviluppo esecutivo hanno collaborato il designer Marco Armoni e il restauratore Emanuele “Mastro T” Ticà, i quali hanno anche organizzato il team che ha realizzato materialmente la nuova installazione.L’effetto di “trasparenza” dell’altare fa si che, accendendo opportune luci posizionate al suo interno, si possa vedere il muro posteriore su cui restano le tracce indelebili dell’incendio, le tessiture murarie e, in particolare, il pavimento originale della chiesa in laterizio, di cui sotto all’altare bruciato si conservava ancora una piccola porzione, che ne testimonia anche lo schema di posa. Per agevolare questa esperienza e per facilitare le operazioni di manutenzione, la mensa dell’altare è dotata di ruote che permettono di essere spostata in avanti.
Nella ricostruzione dell’altare bruciato ha meritato particolare cura la conservazione della commovente statua in gesso della Madonna di Lourdes: aggredita dal fuoco, non è stata mai rimossa dalla nicchia, né durante la prima fase dei lavori e neanche in seguito al sisma del 2016. Si è ritenuto doveroso, perciò, conservarla definitivamente in quella collocazione, vista anche la grande devozione di cui è fatta oggetto da parte dei fedeli.
Il gruppo di lavoro per l’altare è stato formato da Luca Maria Cristini (ideazione, progetto architettonico e direzione lavori), ingegner Erika Gatti (progetto e direzione opere strutturali), Giacomo Maranesi (rilievo e ricostruzione grafica altare bruciato), Marco Armoni ed Emanuele Ticà (ingegnerizzazione e restituzione grafica), Franco Monteverde per “Gruppo Marche” (computi metrici e contabilità), mentre la realizzazione è stata curata da Artigiana L.m.i. di Vissani Severino & C. (taglio e verniciatura elementi lignei), Testa di Legno di Lorenzo Bertolucci (taglio elementi lignei), Tecnofer di Carradori Gianpiero & C. (realizzazione carpenteria metallica), Mastro T di Emanuele Ticà (assemblaggio generale e finitura).
La chiesa
Come ha scritto Raoul Paciaroni nella sua guida all’edificio, la chiesa non è la più antica né la più monumentale tra le tante che sorgono nel centro storico della città. Senza dubbio è però tra le più frequentate dai fedeli, sia per la sua posizione centrale che per motivi affettivi e devozionali di lunga tradizione. A prima vista, osserva Paciaroni, la chiesa sembrerebbe non meritare molta attenzione nemmeno dal punto di vista artistico, ma un’osservazione meno superficiale mostra come anche qui vi siano stati lasciate importanti testimonianze dell’arte nei quattro secoli della sua esistenza e le opere presenti serbano delle sorprese a chi presta loro attenzione. Oltre ad essere una chiesa di schietto impianto barocco, vista la sua relativamente recente edificazione, si può notare come essa sia l’unica in cui si può trovare un’atmosfera artistica cosmopolita, testimoniata dagli artisti che per essa furono all’opera; tra essi ricordiamo l’architetto ticinese Gaetano Maggi e gli autori di alcune opere scultoree e pittoriche come Denis Plouvier, Horace Le Blanc, Ernst van Schayck.
Le opere restaurate
In occasione dell’inaugurazione sono tornate in chiesa anche le opere restaurate da una cordata di solidarietà dopo l’incendio: Rotary club Tolentino, restauro pala altare maggiore e piccolo dipinto altare laterale sinistro; Arcidiocesi di Ancona-Osimo, restauro pala altare laterale sinistro; Regione Marche (Settore Beni culturali), restauro sculture Cristo Risorto e San Giuseppe; Anonimo finanziatore, restauro Madonna della Misericordia. Peraltro, dopo oltre quaranta anni di silenzio, è possibile risentire anche il suono del grande organo Nacchini del 1757, grazie all’impegno economico della parrocchia e a un ulteriore contributo specifico dell’8 per 1000 della Cei.
Lo sposalizio della Vergine, 1630, olio su tela dell’altare maggiore, copia o seconda stesura di Horace le Blanc operante a Roma nel secolo XVII, restaurato grazie a un contributo del Rotary club di Tolentino-San Severino.
Il Trionfo dell’Eucarestia, 1591, di Severino di Lorenzo di Giovangentile, operante a Sanseverino, restaurato a cura dell’Arcidiocesi di Ancona –Osimo in occasione del Congresso eucaristico di Ancona.
Sacra Famiglia con i santi Rocco e Carlo, 1631, di Ernst Van Schayck, restaurato come esercitazione di tesi con metodologie innovative per la tesatura della tela nell’Istituto di Restauro delle Marche dell’Accademia di Belle Arti di Macerata, sede Montecassiano.
Madonna della Misericordia, sec. XVIII, di Giovanni Loreti, operante a Fabriano, restaurato a cura di un devoto nel 2001 e solamente ripulito dai fumi.
San Giuseppe, 1819, Cristo Risorto, 1839, entrambe di Venanzio Bigioli, operante a San Severino, restaurate grazie a un finanziamento della Regione Marche.