Chi conosce l’opera del regista danese Lars von Trier (classe 1956) sa che ogni suo film è un tormento, un concentrato di fobie e dolori sapientemente orchestrati. L’autore scandaglia, nel più profondo, ogni possibile forma di bassezza umana: non c’è essere umano che sia salvabile nelle opere del regista. La bontà è rara, parzialmente distribuita tra pochi individui, quasi totalmente oscurata dalla cupezza delle azioni e delle vicende. Uomini deprecabili e donne altrettanto vergognose. Ma osservando più attentamente le sue pellicole, notiamo che il male prodotto da una donna è, spesso, una sorta di male “indotto”, fomentato da un ambiente maschile prepotente e violento: forti e deboli, amorevoli e spietate, ingenue e furbe, le donne di von Trier, all’apparenza, sembrano abiette tanto quanto gli uomini, ma il male da loro generato è, spesso, una reazione, scaturita da un feroce tradimento precedentemente perpetrato dall’uomo.
Parliamo di alcune opere dell’autore con protagoniste figure femminili. Una delle prime pellicole di Lars von Trier è Medea (1988), trasposizione televisiva dell’opera di Euripide. Lars von Trier narra la sua Medea, la donna che, tradita da Giasone, uccide i propri amati figli per punire il marito ingannatore. Un film televisivo poco conosciuto, dai grigi colori e paesaggi nordici, con uno stile già anticipatore delle future opere dell’allora giovane autore (prima di stilare, insieme al regista Thomas Vinterberg, le regole del movimento cinematografico Dogma 95). Ne Le onde del destino (1996), la protagonista è Bess McNeill (Emily Watson), una ragazza tanto semplice quanto soggiogata dal pervertito marito. Rimasto invalido, l’uomo convince la povera donna a prostituirsi con ogni sconosciuto, obbligandola poi a raccontargli le sue avventure sessuali, per far rivivere, nella mente di lui, il sesso che non può più fare. Bess è capace di rovinarsi per ingenuità ed amore, fino ad esiti letali. In Dancer in the Dark (2000), la protagonista è Selma Jezkova (la cantante islandese Björk), un’operaia che sta per diventare cieca per via di una malattia. Vive da sola con il figlio, anche lui a rischio cecità come la madre: la donna risparmia più denaro possibile per pagare l’operazione e salvare la vista del ragazzino, ma viene raggirata da un uomo che la deruba di tutti i soldi. Le conseguenze per la donna e la sua vita sono devastanti. Impossibile poi dimenticare Dogville (2003), l’opera più originale e complessa dell’autore. La protagonista, Grace (Nicole Kidman), una giovane dalla dubbia provenienza, si ritrova nella cittadina di Dogville. Inizialmente accettata dalla comunità, viene via via sempre più vessata dai suoi nuovi compaesani, fino a subire violenze di ogni genere: la sua vendetta è spietata e catartica. Con Antichrist (2009), von Trier raffigura una donna sia carnefice che vittima: “Lei” (Charlotte Gainsbourg), soffre per la morte del figlio, caduto dalla finestra mentre faceva l’amore con il marito, “Lui” (Willem Dafoe). I due si rifugiano nella foresta per elaborare il lutto: questo ritiro porta alla luce, tra violenze ed allucinazioni, la colpevolezza di lei e la tremenda violenza di lui. Un film complesso, ricco di simbologia, tra dramma e caos: per questo lungometraggio, il regista venne pure accusato di misoginia, ma l’opera è molto più complessa, e va al di là di ogni etichetta possibile. Questo è il primo film della “Trilogia della depressione”, proseguita poi con Melancholia (2011). Qui le due protagoniste, le sorelle Justine (Kirsten Dunst) e Claire (Charlotte Gainsbourg) rappresentano la forza e la debolezza in continuo scambio. Nel primo tempo, emergono le debolezze di Justine, donna profondamente depressa, e l’energia di Claire. Nel secondo tempo, nel momento in cui il pianeta “Melancholia” è in rotta di collisione con la Terra (accompagnato dalle azzeccatissime note del “Tristano e Isotta” di Wagner) si invertono i ruoli: il fatalismo di Justine diventa la forza per placare il panico di Claire. In un mondo dove l’uomo (il marito di Claire) è così debole da arrivare a suicidarsi pur di non affrontare frontalmente la fine, le due donne rimangono da sole ad affrontare la morte, cercando in loro stesse la forza per accettare l’inevitabile. Con Nymphomaniac (2013), terzo capitolo della saga, Charlotte Gainsbourg interpreta il ruolo della ninfomane Joe. Dipendente dal sesso, la sua figura è costantemente circondata da uomini approfittatori (tranne l’amorevole padre). Incapace di frenarsi e di trovare sincerità da qualcuno, il sesso diventa la sua gabbia e ragione di vita. Incontra un uomo peggiore dietro l’altro nel corso della sua vita: anche l’uomo più affidabile, rivela la sua meschina natura. Perché così sono gli uomini, secondo Lars von Trier, dei potenziali criminali e assassini, come il protagonista di La casa di Jack (Matt Dillon): un killer particolarmente predisposto a focalizzarsi su vittime femminili, continuamente redarguito e rimproverato dal coprotagonista Virgilio (Bruno Ganz), un’anima che lo accompagna all’inferno, l’unico posto adatto ad un mostro come lui. Jack è solo l’ultimo dei violenti uomini del regista danese. E finché ci sarà l’uomo (sia nel senso di essere umano in generale che di maschio), il male albergherà nel mondo e le donne, di conseguenza, saranno portate a soffrire esageratamente. Nella visione di Lars von Trier, solo un pianeta danzante come Melancholia, pronto alla collisione con la Terra, può far terminare ogni forma di dolore: solo la distruzione può liberare l’uomo dalla sua innata malvagità e la donna dalla sua sofferenza.
Silvio Gobbi