di Alberto Pellegrino
Roberto Vecchioni ha mantenuto la promessa fatta prima del concerto estivo di San Severino Marche, quando ha detto che sarebbe presto uscito un suo nuovo album intitolato L’infinito. Dopo cinque anni di silenzio, il disco è puntualmente arrivato nel novembre 2018 con dodici canzoni inedite e l’autore ci tiene a sottolineare l’unità d’ispirazione della raccolta che non contiene “12 brani ma un’unica canzone divisa in 12 momenti”.
Quest’album, impreziosito dalla partecipazione di Francesco Guccini e di Morgan, costituisce per Vecchioni una nuova sfida al presente: “Sono stufo di ascoltare canzoni di malcontento, di rabbia… la vita è una cosa straordinaria… non è una sala d’aspetto, è un salone luminoso… Viaggiamo con una valigia in mano, non sappiamo cosa ci sia dentro, non abbiamo spiegazioni, ma sospettiamo che contenga il segreto di questo vivere. Stranamente tutti sospettiamo che sia l’amore per ciò che vivi”.
Nella nostra città Vecchioni aveva già detto che l’idea dell’infinito arrivava da lontano, perché da anni egli ripeteva con insistenza come Leopardi fosse sempre stato nei suoi pensieri e come gli piacesse credere che il grande poeta non odiasse la vita ma che la sua disperazione e il suo sarcasmo “fossero reazioni di un amante tradito”. Nella canzone, che dà il titolo alla raccolta, Vecchioni pensa a Leopardi nell’ultimo soggiorno a Napoli, quando sembra un altro uomo che non ha cambiato la sua pessimistica visione del mondo, ma che è stanco di tanto dolore, per cui chiede una tregua. Soprattutto nella Ginestra è presente l’idea che l’infinito non stia al di là dalla siepe, ma che stia dentro di noi: “Mi va diritto al cuore/Questo vivere intorno,/Questo sole nell’aria,/Questo cadere in sogno/E per la prima volta/Da quando sono al mondo/Non muore il dì di festa…E se mi sono perso/A vagar l’infinito/Punivo l’universo/Di un amore tradito/Tramontata la luna/Torna di nuovo il sole,/vattene via per sempre,/Vattene via dolore”.
Nella raccolta ci sono delle canzoni che ricordano personaggi del nostro tempo come Giulio ed è la madre di Giulio Regeni a rivolgersi al figlio perché non si rassegna a pensarlo morto e immagina che dorma serenamente nella sua casa. Cappuccio rosso è un canto dedicato alla giovane curda Ayse, caduta combattendo contro l’Isis, la quale dal fronte spedisce al suo ragazzo un’ultima e immaginaria lettera d’amore.
La canzone del perdono è un omaggio a Papa Francesco (presente senza essere mai nominato) per ricordare come il valore del perdono sia importante per chi crede in Dio, ma anche per chi ama solo il mondo.
Ti insegnerò a volare è un inno all’invincibile amore per la vita di uno straordinario personaggio come Alex Zanardi, il quale ricorda ai più giovani che, dopo una caduta, è fondamentale rialzarsi e che, se non puoi più camminare, puoi imparare a volare. Zanardi diventa il simbolo di quelli che vogliono esaltare la bellezza della vita, dell’amore, della libertà, della passione. Forse per questo Francesco Guccini ha voluto essere presente in questa canzone, interrompendo un silenzio di sette anni.
Con Vai, ragazzo Vecchioni si rivolge alle future generazioni per dare un segnale di speranza e per invitare a guardare avanti: “Tieni il sole tra le dita/Tu conosci l’alba della vita/ non il loro sole spento…Salva il fiore del passato/in un mondo di desolazione/Non è il cielo l’infinito/L’infinito è nella tua emozione”. Si diverte a scrivere il ritornello in greco antico (“Le donne e gli uomini/cantano felici sulla spiaggia./La luna e il sole”) per sottolineare l’immutato valore degli studi classici che aiutano “a tracciare una linea di confine tra vivere la vita o transitarci dentro e basta”. Nella canzone Una notte, un viaggiatore ritorna la metafora della stazione come luogo misterioso, dove si entra senza sapere perché, portando una valigia di cui non si conosce il contenuto, ma dalla quale si può trarre delle emozioni grazie alla fantasia.
Formidabili quegli anni è una bellissima canzone che non parla del Sessantotto, ma incarna i sogni, le convinzioni e le speranze del Vecchioni di allora: “Formidabili quegli anni,/Quando dicevamo d’essere compagni,/Una così lieve e fragile parola/Scritta sopra il vento della storia…Traversati come stelle senza cielo/Tra le gocce ritrovate del pensiero/Come briciole di pane sul sentiero”.
Sempre autobiografica è la canzone Com’è lunga la notte, un testo introspettivo che vuole guardare al proprio interno; solo l’ultima strofa è in terza persona perché è l’autore a guardare se stesso dal di fuori, per cui a cantarla è Morgan.
Non potevano mancare due canzoni a soggetto amoroso. La prima è Ogni canzone d’amore, un madrigale nel quale l’autore immagina che tutti i poeti del mondo abbiano dedicato dei versi d’amore a sua moglie, la donna che ama di più in assoluto. La seconda, Ma tu, è strutturata su due piani temporali che s’intersecano, perché riguardano la prima e l’ultima donna amata con una sostanziale differenza: il primo amore è l’immagine di un sentimento del passato; l’ultimo amore è un sentimento profondo, reale e ben radicato nella vita presente del cantautore.
L’album si chiude con Parola, un’elegia dedicata alla forza e all’importanza che hanno le parole per ogni essere umano: “Tu sei dentro di me/E mi canti e mi culli/Mi addormenti e mi svegli/Camminando sui fogli…Sei dentro di me/io non posso perderti”. Non manca però un certo sconforto per il presente: “Dai buffoni di ieri/Che oggi sono signori/Mi hai guardato le spalle…Dai bagliori di scena/dai versi di un poema/Ridotta a questa sorte/parola amore mio/Chi t’ha ferita a morte?”.
Per questo disco Vecchioni ha fatto delle precise scelte musicali che sono il risultato di una ricerca nell’ambito della musica popolare soprattutto italiana. Nelle dodici composizioni vi sono echi dei cantautori siciliani (Una notte, un viaggiatore), delle frottole rinascimentali (Com’è lunga la notte) e dei canti della resistenza (Cappuccio rosso). Vi è una citazione dai salmi (Canzone del perdono), mentre Ogni canzone d’amore è un valzer popolare e Formidabili quegli anni è una canzone “all’italiana” con tanto di strofe e ritornelli. Si esce dall’Italia con il “sirtaki” Vai, ragazzo e con la ballata all’irlandese Ti insegnerò a volare. L’unico collegamento con la musica colta è presente ne L’infinito, dove riecheggiano arie pucciniane.
L’intero album è un ritorno alla canzone d’autore degli anni Settanta, che ora non esiste più, ma che allora ha avuto un ruolo e un peso culturale molto importante soprattutto per i suoi valori e le sue passioni: “Là è nato e successo tutto – dice Vecchioni -. Là tutto è stato come doveva essere, cioè immaginato, scritto e cantato alla luce della cultura, semplice ed elementare oppure sottile e sofisticata, ma comunque cultura”.