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Aliforni ricorda don Armando
Aliforni ricorda don Armando

Aliforni ricorda il “prete amico” don Armando Vincenzoni

La comunità parrocchiale di Aliforni ricorda la figura di don Armando Vincenzoni, che fu parroco della frazione di San Severino dal 1963 al 1988. La commemorazione è prevista per domenica 17 agosto con una messa alle ore 18 nella chiesa parrocchiale e, a seguire, la proiezione di un documentario dedicato proprio al “prete amico”, alle sue opere e alla sua straordinaria umanità. “Don Armando – racconta la signora Angela Papavero, nostra lettrice – è stato un prete di campagna come non ce ne sono più, un padre, un fratello, un amico sempre disponibile con tutti, generoso. Un’umanità grande, la sua, che ha accompagnato la mia infanzia”. Il sacerdote, nato nel 1935, morì così giovane nel novembre del 1988. Ora i parrocchiani di Aliforni lo ricordano nel 25° anniversario della sua scomparsa e in quello che sarebbe stato il 50° anno del suo sacerdozio.

Ecco, di seguito, due testimonianze molto significative sulla figura e l’opera di don Armando Vincenzoni.

DON ARMANDO: UN SANTO FUORIGIOCO

(09/03/1935-26/11/1988)

“Avremmo dovuto a luglio dello scorso anno festeggiare il cinquantesimo anniversario del sacerdozio di don Armando. Ci troviamo invece oggi a ricordare, a 25 anni dalla sua prematura scomparsa, i 25 anni trascorsi ad Aliforni. 25 anni che hanno lasciato un segno. E’ difficile collocare don Armando nella stretta cornice di prete. Perché ben presto è uscito, con la sua naturale disinvoltura, da quella matrice curiale che distaccava il prete dalla quotidianità, dalla sofferenza del pane quotidiano, interpretando con la sua bonaria coerenza quelle trasformazioni sociali che hanno investito le nostre campagne negli anni sessanta. Mentre la motorizzazione dell’agricoltura riduceva il duro lavoro nei campi aprendo all’invasione della macchina e si avviava quel lento ma costante esodo dalle campagne, la liturgia delle funzioni religiose abbandonava l’austerità delle formule misteriose del latino, nel tentativo di frenare il declino di quella religiosità già diffusa e sottomessa, che sembrava destinata a sciogliersi nel benessere e nella crescita culturale favorita dallo sviluppo e dall’avvento della televisione. Don Armando ha celebrato la prima messa nella chiesa di San Lorenzo il 7 luglio 1963. Fu presto assegnato alla parrocchia di Aliforni. La Parrocchia di Aliforni era stata retta per 20 anni dal prevosto don Domenico Martini. Martini aveva interpretato molto bene la figura tradizionale del prevosto nella fierezza della tradizione cattolica ben sorretta dalle eredità dello stato pontificio, che nelle campagne marchigiane attingeva parte non secondaria del sostentamento economico nei fertili ed estesi terreni. Il parroco in sintesi curava le anime ma si occupava anche della gestione dei poderi accostando la sua giornata più a quella dei benestanti proprietari terrieri che a quella dei contadini. Martini tuttavia aveva apportato anche sostanziali migliorie ai beni della parrocchia. Testimonianza ne sono l’altare e il presbiterio in marmo della chiesa di Aliforni, il teatrino parrocchiale, il campo sportivo, un’ampia rimessa per la trebbiatrice con attigue stalle per gli animali domestici, dando lavoro ai manuali del posto nell’immediato dopoguerra Negli ultimi anni Martini, appagato anche dal titolo di monsignore, non entra più nell’angusto spazio di una parrocchia, seppur importante come Aliforni. Viene promosso rettore del seminario diocesano di San Severino. Pur rimanendo titolare, l’impegno lo tiene lontano dalla parrocchia e le cerimonie religiose incominciano a perdere quella solennità liturgica che aveva alimentato la religiosità contadina. In questo contesto, di rapido passaggio socio-economico concomitante alla svuotamento di un apparato religioso, incoraggiato anche dall’avvento del Concilio, inizia la sua avventura di parroco di Aliforni don Armando. Non è un rivoluzionario, non vuole esserlo né saprebbe interpretare una rivoluzione. Ha portato ad Aliforni quella brezza di rinnovamento religioso, già avviata in quegli anni da papa Giovanni, nella direzione di maggiore contatto con i deboli, senza i filtri dei farisei. Don Armando si lascia docilmente trasportare de questa veloce trasformazione dell’approccio alla religione, interpretando più i bisogni della gente reali e contingenti che i richiami di una liturgia, che insieme al latino sta perdendo consistenti pezzi di cerimoniale. E’ umile e sa avvicinarsi alla gente più a quella semplice che a quella dottrinata, più a Giulia de’ Cocente che alla marchesa Castiglioni, meglio all’osteria che dal pulpito. Ma in questa strada senza parapetti, senza corsie preferenziali, tra i sassi e la polvere incontra la gente, serve la gente. Non predica il vangelo, lo pratica semplicemente senza ostentarlo. Non predica il digiuno ma, come il Cristo dei pani e dei pesci, divide la sua mensa con tutti. Lo stesso suo attardarsi nella mensa o nel bere in compagnia lo rende meno prete e più uomo, ma anche più esposto a quel rischio che ancora giovane, a metà percorso, l’ha strappato alla vita. La gente lo ama così perché lo sente vicino, raggiungibile subito senza prenotazioni e senza prendere il numero. La sua auto, la seicento verdina di seconda mano, è la vettura di tutti, anche per portare conigli, oche e tacchini al mercato come per portare l’anziano dal medico. Don Armando non ha mai gestito il potere, né usato un prestigio che pure la sua posizione o la sua cultura poteva procurargli. Anche nelle numerose iniziative sorte intorno alla parrocchia o facenti riferimento al suo nome, come il torneo notturno di calcio di Aliforni o le feste di Elcito e di Palazzata, don Amando si poneva gregario: le iniziative e le decisioni le lascia prendere agli altri. Lui accetta ed esegue mettendoci il coraggio della sua generosità e la lealtà. Lascia agli altri, senza rimpianti o rancori le gratificazioni. Per questo è impossibile entrare in conflitto con lui. Per questo dopo pochi anni trova molte porte aperte e generose risposte alle iniziative che traina. Per questo demolisce i muri del sospetto e della diffidenza. E’ il delfino della tolleranza che frantuma le barriere dell’egoismo invadente. Circolano ancora dopo venticinque anni molti aneddoti, molte sue battute bonarie cariche di spirito. Ma quando si entra nel ricordo della sua generosa donazione ognuno ha da raccontare una propria esperienza che ha custodito gelosamente per anni come una foto, che non espone alla luce per timore che sbiadisca”.

Alberto Muzio

“Don Armando, una persona che ricordo con molta simpatia e stima, Legata ai più bei ricordi di gioventù. Ricordo un episodio molto significativo. Ero ragazzo, forse l’ultimo anno delle scuole superiori. Ero a casa da solo, i miei genitori mi avevano lasciato, per improrogabili impegni di lavoro a Bologna, un compito piuttosto impegnativo. Mi son trovato un giorno con la trebbiatrice ed un barcone di grano da una trentina di quintali da trebbiare. Avrei dovuto avvisare prima parenti e vicinati, ma all’ultimo momento non trovai nessuno a casa. Non sapevo cosa fare. C’era don Armando con me che con il suo solito spirito scherzoso mi disse. “Non ti preoccupare, cosa vuoi che sia, facciamo noi”. Salì sul barcone e cominciò a lanciare i covoni. Poco dopo arrivò Adriano, l’esperto nel settore che dirigeva i lavori. Facevo fatica a tenere il suo ritmo, ma per non fare brutta figura e farmi canzonare , nonostante il sudore ed i calli per le mani, tenni duro per tutto il tempo, alla fine contenti del lavoro svolto ci fermammo in cantina, in tre ci finimmo quasi una cassa di birra e qualche anguria”.

Francesco Aronne

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