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Sul palco del Feronia Daniele Pecci e gli altri attori
Sul palco del Feronia Daniele Pecci e gli altri attori

Pecci fa l’Amleto e “rapisce” il pubblico del Feronia

“Essere o non essere: questo è il problema”. Chi, almeno una volta, non si è trovato a pronunciare, sul serio o per scherzo, questa battuta? Sono parole di Amleto, uno dei personaggi teatrali più straordinari e attuali di tutti i tempi. Proprio con l’Amleto di Shakespeare, domenica scorsa, ha preso il via la stagione teatrale settempedana 2015-2016. Sul palco un bravissimo Daniele Pecci, accompagnato da altri dodici giovani attori. Filippo Gili ha firmato adattamento e regia di un testo che lui stesso ha definito “infinito”, perché dal Seicento non ha mai smesso di parlare, di colpire ed emozionare. L’aspetto più importante è stato di certo l’allestimento, con il teatro aperto e con gli attori che si muovevano in platea, fra il pubblico, come in un teatro elisabettiano. Non c’era scenografia, tutto lo spazio della sala era il castello di Elsinore. Ed è dentro le mura del castello che si consuma la tragedia del giovane principe di Danimarca: quando scopre che suo padre è stato ucciso suo zio, ora re e sposo della regina Gertrude, prende consapevolezza di essere circondato da falsità e invidia, ambizione e sete di potere; l’unica eccezione è rappresentata da Orazio, amico fedele e sincero. Il principe non ci sta, vorrebbe far venire a galla i crimini e i misfatti compiuti dai parenti; vorrebbe vendicarsi, ma rimanda, esita, il dubbio è il suo ostacolo. Alla fine, altri decidono per lui, e il prezzo da pagare è alto: prima perde la donna che ama, Ofelia, poi sua madre e infine la propria vita. Nel corso della vicenda tutto è messo sotto indagine: la legittimazione del potere, i valori dell’amicizia e dell’onore, i rapporti umani, l’amore, in sostanza il valore stesso dell’esistenza. Amleto, in fondo, incarna il dramma dell’uomo moderno, intrappolato tra l’essere e il non essere, tra il vivere e il vedersi vivere, tra il subire e l’agire. Per quasi tre ore il pubblico è stato letteralmente rapito, trasportato in una fredda e buia Danimarca, coinvolto nei moti impetuosi di un animo giovanile turbato e lacerato. Il testo shakespeariano, non facile, è stato reso in una traduzione moderna, scorrevole, a tratti pungente e ironica, ma che, nei momenti di più alto coinvolgimento emotivo, ha saputo mantenere quella solennità propria della tragedia.

Michela Ciciliani

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