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Recensione del film “Chiara” di Susanna Nicchiarelli

Nel 1211, la giovanissima Chiara (Margherita Mazzucco) fugge dalla sua famiglia, abbandonando tutti gli agi, per unirsi a Francesco d’Assisi (Andrea Carpenzano) e vivere secondo la sua dottrina evangelica di povertà. Nel corso degli anni, attorno a Chiara si uniranno sempre più donne pronte a rinunciare alla propria vita per aderire a questa missione, e la ragazza dovrà combattere con le autorità pontificie per fare sì che tutte queste donne vengano riconosciute ed accettate dalla Chiesa.

Chiara è il nuovo film scritto e diretto da Susanna Nicchiarelli, presentato in concorso alla 79ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Un’opera biografica che si è avvalsa della preziosa consulenza della medievista, deceduta lo scorso aprile, Chiara Frugoni (il film è dedicato a lei), una consulenza importante che si sente nell’intero impianto dell’opera: dai dialoghi, interamente in volgare umbro e latino, alle ricostruzioni degli ambienti, dei costumi, delle musiche, dei canti e delle danze.

Dopo Nico, 1988 (2017) e Miss Marx (2020), Susanna Nicchiarelli realizza un nuovo ritratto femminile di una donna in conflitto con i limiti del proprio tempo. Un ritratto energico, dinamico e fluido, capace di non cedere alla retorica: Chiara è rappresentata in tutta la sua determinazione, naturalezza e giusta confusione, senza sfociare nel banale patetismo. In Chiara ci sono tutti i maggiori problemi della sua vicenda, dal “voto di povertà” che il Papa non vuole riconoscere alle future clarisse (perché la donna, fonte primigenia del peccato, non può essere considerata come l’uomo e, quindi, non può vivere come un frate), al forte, a tratti difficile, ma sempre autentico, rapporto tra Chiara e Francesco, un legame spirituale potente come pochi altri.

Chiara, santa inaspettata e umile, dolce e tenace, vive un conflitto interiore silenzioso e duro, portato sullo schermo da una regia lineare ma non scialba, ritmata al punto giusto, capace di stimolare la riflessione senza cedere alla noia. Inoltre, un’altra peculiarità del lungometraggio sta nelle citazioni pasoliniane presenti: la scelta di girare nei luoghi della Chiesa di San Pietro di Tuscania ci riporta all’episodio dei frati in Uccellacci e uccellini (1966), e le scene dove Chiara viene raffigurata con un’aureola di plastica ricordano Silvana Mangano nel ruolo della Madonna nel Decameron (1971).

Con il passare degli anni, Chiara, come Francesco, deve stilare una regola accettabile per la Chiesa, cercando di salvare parte di ciò che ha, volontariamente ed involontariamente, creato. Ma questa non è una sconfitta perché, seppur scendendo a patti, alle donne di Chiara, coloro che sono «sole ma insieme», forti nella loro pacatezza e determinazione, viene così riconosciuta la propria identità, una robusta identità che, ancora oggi, perdura.

Silvio Gobbi

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