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Qui rido io
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Rassegna al “San Paolo”: “Qui rido io”, di Mario Martone

Giovedì 2 e venerdì 3 dicembre, ore 21.15, quarto appuntamento con la rassegna autunnale-invernale promossa nell’ambito dei Teatri di Sanseverino in collaborazione con il Cinema San Paolo: Qui rido io, di Mario Martone, con Toni Servillo, Maria Nazionale, Cristiana Dell’Anna, Antonia Truppo, Gianfelice Imparato, Paolo Pierobon e Lino Musella.

Di seguito, la recensione del film

Nei primi anni del Novecento, Eduardo Scarpetta è uno dei più famosi autori e attori teatrali: le sue commedie popolari, il suo modo di ridere su tutto, di ogni miseria, lo hanno reso il personaggio teatrale più famoso del tempo. Guadagna bene, così tanto da potersi permettere di vivere come un signore, e di mantenere, al contempo, i suoi tanti figli, legittimi e illegittimi, come Titina, Eduardo e Peppino, coloro che in futuro saranno noti come i famosi fratelli De Filippo. Scarpetta, oltre ad avere tanti soldi, tante donne e molti figli, è anche molto ambizioso: il suo genio è innegabile ed ora vuole spingersi oltre, intende parodiare l’opera di D’Annunzio, “La figlia di Iorio”. Il debutto della parodia non genera il successo sperato, addirittura Scarpetta viene denunciato per plagio: adesso deve dimostrare, in tribunale, la qualità della sua opera, l’originalità e l’assoluta assenza di imitazione. L’evento segnerà una tappa fondamentale per la sua vita.

Qui rido io è il nuovo film di Mario Martone, presentato in concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il personaggio-simbolo del teatro di Scarpetta, Felice Sciosciammocca (“Miseria e nobiltà”), ha ucciso Pulcinella, come celebra il suo stesso autore, ma la fine di Felice è ugualmente dietro l’angolo: l’idea di trasmettere il personaggio di generazione in generazione, di renderlo una duratura maschera dello spettacolo partenopeo, è irrealizzabile. Scarpetta vorrebbe che suo figlio, Vittorio, portasse avanti Felice, l’eredità “di famiglia”, ma altri personaggi, altre forme di spettacolo stanno emergendo, in particolar modo il cinema, destinato a diventare la forma di intrattenimento più popolare del tempo.

Eduardo odia le novità, proibisce al figlio di lavorare per il “cinematografo”, ma non può fermare il tempo, e qui nasce la tragedia del suo personaggio. Interpretato ottimamente da Toni Servillo, Scarpetta, egocentrico e caparbio, sa, in cuor suo, che i mutamenti non possono essere immobilizzati, è cosciente che non può fare nulla, e, quando nessuno lo guarda, cammina malinconicamente tra le vie di Napoli, in un modo che ricorda quel vagabondo di Charlot: quella camminata distratta, un po’ ciondolante, rivela i turbamenti che cova nell’animo. I suoi ultimi slanci di forza provengono dalla soddisfazione nel vedere il precoce talento del piccolissimo figlio illegittimo Eduardo, e dalla giusta volontà di difendersi, ad ogni costo, dalle infamanti accuse di D’Annunzio, con l’aiuto addirittura di Benedetto Croce.

Qui rido io è un’opera dove la vita reale si mescola con l’arte, amalgamandosi in un’unica entità: Scarpetta recita quando è sul palco e nella vita di tutti i giorni. Recita con la moglie, con le amanti, anche con i figli illegittimi, facendosi chiamare “zio” per nascondere loro la verità: è sempre sul palcoscenico, anche quando taglia i pomodori per mangiare o serve in tavola per il pranzo della domenica; tutto è un’eterna performance. Per Eduardo Scarpetta, il teatro è la vita, e viene al di sopra di tutto, al di sopra degli amici e dei parenti: il vero affetto che cerca è quello della sua unica famiglia, il pubblico che ha sempre cercato di appassionare e divertire ad ogni spettacolo, al quale ha donato una bella dose di rispetto tolta ai propri cari.

Silvio Gobbi

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