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Home | Cultura | Borat è tornato tra noi: la recensione
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Borat 2
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Borat è tornato tra noi: la recensione

Pubblicato da Redazione in Cultura 25 ottobre 2020 1,703 Visite

Borat Sagdiyev è tornato. Dopo aver gettato vergogna sul glorioso Kazakistan nel 2006, per via della sua prima incursione negli «U. S. con A.», come li chiama lui, è stato rinchiuso in un gulag. Ora, dopo quattordici anni di lavori forzati, il governo vuole dargli una nuova possibilità: deve ripartire per gli Stati Uniti d’America e portare in dono al vicepresidente Mike Pence un eroe nazionale kazako, la scimmia Johnny (in caso di fallimento, per il giornalista si prospetta la pena di morte). Borat, sistemati i famosi baffi, con il suo caratteristico completo grigio, parte per il viaggio. Giunto a destinazione, si accorge che all’interno della cassa non c’è la scimmia, ma sua figlia Tutar: lo ha seguito di nascosto. Ora Borat quale dono porterà per salvarsi la pelle? Decide di cercare di donare la giovane figlia al posto della scimmia, come omaggio della fulgida nazione kazaka agli «U. S. con A.». Da questa scelta, seguiranno una serie di episodi grotteschi: Borat e Tutar incontreranno i negazionisti del Covid-19, antiabortisti, pasticceri antisemiti, di tutto e di più in questo secondo folle, e reale, viaggio negli Stati Uniti d’America pronti per le elezioni presidenziali 2020.

Questa follia mista a realtà è il fulcro di Borat 2 (il titolo esatto è Borat – Seguito di film cinema: consegna di portentosa bustarella a regime americano per beneficio di fu gloriosa nazione di Kazakistan).

A differenza del primo, in questo film la trama è più strutturata e sviluppata: il soggetto della pellicola è la missione che deve compiere Borat, il filo conduttore ha una presenza maggiore, quindi c’è un minor spazio alle gag scollegate, allo stile libero, improvvisato e “on the road” del vecchio lavoro. Ma tali mutamenti non fanno calare la vena sferzante che ha caratterizzato il precedente cult: Sacha Baron Cohen continua a mantenere efficacemente irriverente il suo personaggio. In questo ultimo lavoro, centrali sono la presenza del Covid-19 e delle prossime elezioni americane, ed il comico inglese (diretto dal regista Jason Woliner) non bada a spese al politicamente scorretto, all’imbarazzante, al grottesco, al triviale, rasentando i limiti della denuncia (esemplare, per questo ultimo caso, la sequenza con l’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, coinvolto in un’intervista con Tutar, dove il politico si lascia andare ad atteggiamenti e considerazioni scottanti). Anche a costo di rischiare la galera, Borat sbeffeggia tutti come ha sempre fatto ed il personaggio di Tutar è una vera e propria coprotagonista: l’importante figura principale dell’opera riesce a non oscurare la giovane emergente. Una ragazza che, da donna kazaka repressa, si emancipa nell’ambiente repubblicano statunitense, senza perdere mai le proprie caustiche caratteristiche di famiglia.

Questo secondo episodio di Borat sottolinea continuamente i luoghi comuni, i pregiudizi, il perbenismo presenti oggi più che mai: in pratica, ci vuol dire che in quattordici anni di distanza le cose non sono migliorate, ma peggiorate. Il Borat del 2020 è lo stesso del 2006, ingenuo e sarcastico, tra lo scherno volontario e involontario, un essere assurdo e reale: riesce soltanto a stemperare la sua misoginia, grazie alla scoperta, graduale, del sincero affetto che prova per la sua Tutar. Ma rimane sempre lo stesso Borat, il più famoso, corrosivo ed imbarazzante giornalista che viaggia alla ricerca di un’America perfetta che non esiste: uno Stato pieno di problemi, contraddizioni ed ingiustizie come ogni altra parte del globo.

Silvio Gobbi

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recensione cinematografica 2020-10-25
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