Gli anni passano, gli acciacchi aumentano, con i dolori e le malattie (fisiche e mentali). Lo stress incide sulla vita, i ricordi del passato riaffiorano: si pensa a ciò che è accaduto e a ciò che sarebbe potuto accadere. Spesso ci si racconta una storia per un’altra, si desidera aver agito in maniera differente. Anche se la vita è stata, tutto sommato, soddisfacente, c’è sempre qualcosa che avremmo voluto fosse andata diversamente. La vecchiaia e la solitudine camminano di pari passo, pensando continuamente che sia impossibile andare avanti, che non abbia senso vivere senza poter lavorare. Salvador Mallo (Antonio Banderas) vive così: è un regista prossimo alla vecchiaia, solo, e non riesce più a fare ciò che ha sempre fatto, scrivere e dirigere film. Sin dagli anni Ottanta, il suo nome ha cominciato a brillare per il mondo, diventando il regista spagnolo più conosciuto della storia. Le sue vicende hanno sempre fatto ridere e sognare il pubblico, alternando turbe, dramma, commedia ed ironia in ogni sua pellicola. Una prolifica produzione, caratterizzata da genialità mista a ricordi del passato, un inesauribile bacino di memorie e continua fonte di ispirazione per trame e personaggi. Ma ora Salvador non riesce più ad andare avanti, per via della depressione e dei problemi fisici. La sua vita è una routine di solitudine, silenzi e flashback. Un giorno “Sabor”, uno dei suoi primi film, torna alla ribalta grazie ad un restauro. È l’occasione per scuotersi, tornare sulla scena, riprendere le fila del passato, per dissipare vecchi rancori con vecchie conoscenze. Sarà l’occasione per rimettersi in gioco, per chiudere con questo continuo salto tra presente e ricordi dal passato, per proseguire questa vita fatta di Dolor y gloria, alti e bassi, come quella di chiunque altro. Questa è l’ultima fatica del regista spagnolo Pedro Almodóvar, alle prese con un film tra il biografico e la finzione, dove ricostruisce sé stesso ed il suo mondo tra realtà ed invenzione. L’infanzia nella remota Spagna, ed il presente nella moderna Madrid: il tempo che fu e quello presente. Tramite questi salti nel tempo e personaggi pittoreschi ma non farseschi, singolari ma non per questo irreali, il regista spagnolo riesce a produrre una pellicola diversa dal solito, senza disconoscere la propria poetica, caratterizzata da densa genialità drammatica che non scade nel cupo: Almodóvar fa della sua vita un film, senza cedere alla drammatizzazione e alle banalità. Costruisce un racconto biografico dagli innesti autoriali, mettendo sé stesso ma non completamente: si fa vedere, ma non del tutto, come un autore, un regista, che rimane nelle retrovie e fa parlare la storia ed i personaggi. Questo Almodóvar privato, grazie al suo alter ego Salvador-Banderas, ci conduce alla scoperta del suo passato in maniera leggera ma non superficiale, cercando di eludere ogni possibile cliché sulla sua omosessualità e sulla Spagna degli anni di Franco e dei preti del seminario. In questo film, biografico e non al tempo stesso, scorgiamo anche ciò che non vediamo: anche ciò che il regista tace, nella pellicola parla; i suoi silenzi, i suoi frammenti del passato ci dicono ogni cosa necessaria alla storia, ricostruendo la vita dell’autore, senza che il tono biografico prevalga sull’invenzione. Almodóvar rappresenta sé stesso fino ad un certo punto, cercando di non esporsi troppo né di ritirarsi: una giusta dose tra sé e la sua rappresentazione. Antonio Banderas, Penélope Cruz, Cecilia Roth, attori e figure di riferimento dell’autore spagnolo, collaborano alla realizzazione di questo film. Un’opera diversa di un regista che, ormai a settant’anni compiuti, riesce ancora a reinventarsi senza perdere le proprie origini cinematografiche ed i propri stilemi, capace e voglioso di rischiare, azzardando qualcosa di nuovo con, al tempo stesso, forti riferimenti a ciò che già conosciamo della sua cinematografia: tra passato e presente (e magari futuro), come la trama di questo suo Dolor y gloria.
Silvio Gobbi