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Home | Cultura | La recensione. “Tutti lo sanno”: amaro dramma familiare
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La recensione. “Tutti lo sanno”: amaro dramma familiare

Pubblicato da Mauro Grespini in Cultura 1,297 Visite

Laura (Penélope Cruz) ritorna nel suo paese d’origine, in Spagna, per il matrimonio della sorella Ana (Inma Cuesta). Insieme a lei, la figlia maggiore, Irene (Carla Campra), ed il figlio più piccolo (il marito è rimasto in Argentina per lavoro). Tra gli invitati, oltre a tutti i familiari, c’è anche Paco (Javier Bardem), fiamma giovanile della bella Laura. Il matrimonio è coinvolgente, pieno di allegria: tutti ballano e bevono per festeggiare il lieto evento di Ana. Durante la festa, la luce salta. Una volta tornata l’elettricità, Laura si accorge che dalla camera è sparita sua figlia. Inizia una ricerca convulsa, nessuno riesce a capire cosa sia successo. Chi crede in una fuga volontaria, chi pensa ad un rapimento. Ad un certo punto, un sms anonimo conferma la pista del rapimento. Da lì, il dramma si acuisce sempre di più. Paco, Laura e la sua famiglia si affidano ad un poliziotto in pensione per sciogliere la matassa: la dinamica della vicenda, la scelta della vittima, fanno sospettare che ci sia qualcuno della famiglia invischiato nel rapimento. Si comincia a sospettare di chiunque, compreso il padre della ragazza, ed i fantasmi del passato di Laura (e della sua famiglia) faranno capolino lungo tutta la vicenda, fino all’epilogo risolutivo ma carico di un’amarezza inquietante.
Tutti lo sanno (film di apertura al Festival di Cannes 2018) è l’ultima pellicola del regista iraniano Asghar Farhadi. Interpretato dall’intensa coppia Cruz-Bardem, il dramma si sviluppa in una Spagna dimenticata, quella dei paesi della provincia sperduta, dove i rancori sono ancora legati a temi ormai spariti dal cinema contemporaneo: la terra, la sua proprietà, in un’atmosfera dove lo spirito di Mazzarò ancora aleggia. Lo sguardo del regista indugia sui personaggi senza peccare di lentezza, sottolineando la nevrosi della vicenda senza sbavature, confermando così le sue capacità tecniche. Farhadi, da sempre attento tanto alla società quanto alla psicologia dei singoli personaggi, realizza un dramma noir dove le profonde radici del passato dei protagonisti aggrovigliano il presente in una stretta dolorosa, facendo come vittima Irene, estranea alle vicende della madre e della famiglia. Il maestro si focalizza, come suo solito, sul tema della famiglia e delle contraddizioni presenti in essa (da Raghs dar ghobar, 2003, a Il cliente, 2016, i drammi familiari sono al centro della sua poetica). Dopo aver ambientato gran parte delle sue opere nel mondo persiano, il regista torna in Europa, passando dalla Francia de Il passato (2013) alla Spagna, ma la sostanza non cambia. Per Farhadi, la famiglia è, ovunque, un luogo di problemi, di silenzi e rancori non sopiti, destinati a non avere mai fine e, inesorabilmente, a peggiorare con il tempo. Il cambio di località non muta la sostanza: dall’Asia all’Europa, da Teheran alla provincia spagnola, bisogna sempre guardarsi dai parenti stessi.

Silvio Gobbi

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recensione cinematografica 2018-11-09
+Mauro Grespini
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