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L'occhio critico di Paolucci
L'occhio critico di Paolucci

Pinacoteca: elogio di Paolucci sull’Osservatore romano

“Belli come un prato fiorito” è il titolo che l’Osservatore Romano ha dedicato ai tesori custoditi nella rinnovata pinacoteca “Padre Tacchi Venturi” di San Severino. A firmare un raffinato articolo sul quotidiano della Santa Sede è stato il professor Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani già ministro per i Beni culturali e ambientali e soprintendente del Polo Museale Fiorentino, fra i principali critici d’arte d’Italia che ha tenuto a battesimo la riapertura del prezioso scrigno. Parlando della raccolta d’arte settempedana Paolucci scrive fra l’altro: “E’ un museo piccolo e prezioso che sta al centro di San Severino, uno dei luoghi più belli delle Marche. La pinacoteca civica è stata inaugurata di recente dopo il riordinamento scientifico e allestitivo curato dallo storico dell’arte della Soprintendenza marchigiana Alessandro Marchi e dall’architetto Luca Maria Cristini, direttore dell’Ufficio Beni culturali ecclesiastici dell’Arcidiocesi. Entrate nella pinacoteca oggi felicemente virata in rosso nella scelta cromatica voluta dall’architetto Cristini – è l’invito che lancia Paolucci – e capirete le tendenze artistiche fondamentali che attraversano, fra Trecento e Cinquecento, questa parte d’Italia. C’è l’influsso lagunare che, risalendo dai porti sull’Adriatico, porta nel nome della Marca lo smagliante smaltato cromatismo di memoria bizantina di Paolo Veneziani. C’è il fiorentinismo un po’ naif di Allegretto Nuzi da Fabriano e c’è, affidato al superbo retablo perfettamente intatto nella sua dorata fiammeggiante cornice, lo stile di Carlo Crivelli che si declina e si ibrida nei modi più popolareschi, nel linguaggio in un certo senso “etnico” del fratello Vittore. La corrente artistica espressionista e patetica di origine umbra è testimoniata in pinacoteca dal polittico di Nicolò di Liberatore, detto l’Alunno, mentre la linea morbida, ritmica e melodiosa inaugurata dal Perugino si affida al Pinturicchio su tavola forse più bello fra quanti se ne conservano nei musei del mondo. Mi riferisco alla “Madonna della Pace”, un’opera così importante per la grande storia dell’arte che abbiamo vista di recente alla Venaria Reale di Torino. E poi ci sono i pittori della scuola sanseverinate. C’è l’elegante luminoso Lorenzo di Alessandro che cerca di mediare la memoria del Crivelli con le tendenze umbre di Bartolomeo di Tommaso e dell’Alunno, e c’è l’irsuto ultra espressivo Bernardino di Mariotto così fortemente caratterizzato e così geniale nelle invenzioni grafiche che se vivesse oggi farebbe, io credo, il vignettista di cartoons. Naturalmente, come tutti sanno, i protagonisti assoluti della scuola di San Severino sono stati i fratelli Lorenzo e Jacopo Salimbeni. Operativi all’inizio del Quattrocento, autori degli affreschi dell’Oratorio di San Giovanni a Urbino, belli come un prato fiorito a primavera, e qui in San Severino pittori delle storie di Sant’Andrea in San Francesco il Doliolo e della leggenda di San Giovani Evangelista, già nel Duomo vecchio e ora, opportunamente staccati, esposti in pinacoteca, possono essere considerati degli alfieri in Italia e in Europa di quella tendenza artistica che i manuali chiamano del “gotico internazionale”. Prima di Gentile da Fabriano, prima di Lorenzo Monaco, i fratelli Salimbeni raccontano un mondo aristocratico, raffinato, elegantissimo ma sono capaci anche di colpi di mano sulla vita reale di straordinaria fragrante verità. La storia artistica e culturale di San Severino non finisce nel XVI secolo. La città – continua Paolucci – continua a essere un centro vivo popolato di biblioteche, di teatri e di accademie. Per tutto il corso del Seicento e del Settecento la sua classe dirigente continua a offrire prelati alla Chiesa, funzionari e militari all’amministrazione laica. Merito di questo ultimo riallestimento della pinacoteca è aver testimoniato, attraverso l’esposizione di opere pittoriche di vario pregio, autore e provenienza la civiltà pittorica sanseverinate in età barocca e neoclassica. Basterebbe sostare nella sala dedicata agli stendardi delle “comunanze” o “castelli”, che fanno corona al centro maggiore di San Severino, per capire cos’era l’organizzazione civile ed ecclesiastica del territorio nei secoli antichi. Gli stendardi venivano portati in processione durante le festività patronali. Ognuno di essi porta l’immagine della frazione abitata con la chiesa parrocchiale, le torri, le case assiepate. In questo difficile angolo della montagna appenninica, le relazioni sociali e politiche fra le comunità erano forti e minuziosamente coltivate. Una ultima considerazione merita la felice riemersione di questo splendido museo. Il riordino della pinacoteca Tacchi Venturi e la riqualificazione architettonica degli interni, sono costati in tutto centocinquantamila euro, per metà finanziamento comunale, per metà fondi europei. E’ consolante accorgersi che ci sono ancora luoghi in Italia – conclude Paolucci sull’Osservatore Romano – dove i soldi vengono spesi con lungimiranza, con parsimonia e con profitto”.

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