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Home | Attualità | Artemia: “Una vita da donna? E’ meglio adesso…”
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Nel riquadro: Artemia Abeti da ragazza
Nel riquadro: Artemia Abeti da ragazza

Artemia: “Una vita da donna? E’ meglio adesso…”

Pubblicato da Mauro Grespini in Attualità 1,884 Visite

La festa della donna non è una ricorrenza granché popolare. Da molti derisa come festività superficiale, consumistica, addirittura discriminante (“anche noi vogliamo la festa dell’uomo!”), in realtà nasce per celebrare i diritti acquisiti dal genere femminile nel corso della Storia. Per questo è necessario che ogni donna spenda un po’ del suo tempo, almeno in questa giornata, a riflettere su cosa significhi essere donna oggi. E, magari, su cosa significasse un tempo.
Io la mia riflessione l’ho fatta incontrando una donna “d’altri tempi”, nata e cresciuta in un’epoca in cui la femminilità era una faccenda molto diversa (e un filo più complicata). Confrontarsi con una persona anziana, che tanto ha vissuto e tanto ha da raccontare, è un modo affascinante e bellissimo per riflettere sulla nostra Storia. È qualcosa che decisamente va fatto più spesso.
Artemia Abeti è nata novant’anni fa (tondi tondi, compiuti a gennaio) a Pitino. Andata sposa a vent’anni con una fede in ferro, perché l’oro veniva requisito dai tedeschi: era il ’46. Il marito, Pietro Squadroni, l’ha lasciata vedova che era ancora giovane. In occasione della festa della donna ha condiviso i suoi ricordi sull’essere donna settant’anni fa.

Cosa usavate voi ragazze per farvi belle?

«Non c’era quasi niente all’epoca! Per lavarci i capelli usavamo l’acqua del bucato, dopo che avevamo lavato i panni. Il sapone era fatto con la cenere e il grasso di maiale. E poi avevamo un trucco per arricciare i capelli: usavamo il liquido che esce dalla vite dopo la potatura. Era zuccheroso, lo usavamo come una lacca. Le scarpe ce le costruiva nostro padre: uno zoccolo in legno e, sopra, il cuoio, magari preso da una scarpa vecchia. Le mettevamo per andare a messa. E in chiesa si entrava separati: uomini da una parte, donne dall’altra! Anche se poi, all’interno, ci mescolavamo».

Che facevate per divertirvi?

«C’erano le feste, che si facevano in casa: le famiglie organizzavano a turno. C’era il Carnevale, oppure la festa dopo la “scartocciata” del granturco. Si suonava l’organetto. Era bello, si stava tutti insieme… e ci divertivamo senza spendere! Adesso andare a ballare costa caro. Di giorno giocavamo a carte, ricamavamo, giocavamo a mosca cieca o a “saltamula”. Ma di tempo libero non ce n’era mai: appena si accorgevano che non stavamo lavorando, ci trovavano subito qualche faccenda da fare, anche se avevamo sgobbato nei campi tutto il giorno. Adesso i giovani si annoiano…».

Che ruolo aveva la donna nella famiglia?

«Niente, non contava quasi niente. Era il capofamiglia a comandare. Pensa che quando mamma preparava il pranzo, cucinava due cose diverse: la pasta era solo per babbo. E per noi, minestra! Le ragazze dovevano stare molto attente a come si comportavano. Quando qualcuna rimaneva incinta prima del matrimonio, i ragazzi del paese le facevano le “scampanate”: andavano sotto casa sua, di notte, e suonavano trombe e campane per prenderla in giro. Oppure c’erano le sassaiole, che si facevano ai forestieri che adocchiavano le donne del paese: erano territoriali i maschi! Anche alle feste dovevamo essere discrete: potevamo ballare con i ragazzi, ma doveva essere un “ballo distante”; non stavamo mai troppo vicini. Mai più di tre danze con lo stesso uomo, e in una serata bisognava ballare almeno una volta con tutti. Anche con quelli che non ci piacevano. Erano regole serie, a disobbedire si rischiava di non trovare marito».

Ma era meglio allora o è meglio adesso?

«Adesso, no? Le donne, in casa, erano serve e basta. Però il modo di stare insieme era bello. Quando lavoravamo nei campi, tutti insieme, cantavamo gli stornelli: una strofa io, una strofa tu… spesso l’uomo iniziava e la donna rispondeva. Ci spedivamo le lettere. Io e mio marito ci scrivevamo, quando lui era in guerra, anche perché per fare una telefonata bisognava disturbare il prete: l’unico apparecchio di Pitino ce l’aveva lui, in chiesa. E così ci scrivevamo. C’era… più rispetto, più sincerità. Adesso si divorzia al primo litigio. C’era più fedeltà, forse. Mi piace di più il modo in cui ci vestivamo una volta: le ragazze di oggi girano con i pantaloni tutti strappati… e invece noi, se ci mettevamo le toppe, lo facevamo solo perché non avevamo soldi! Però, per la donna, è meglio adesso. Sicuramente. Si sta meglio adesso».

E allora grazie alla signora Artemia, per aver condiviso questi bei ricordi. Alcune cose avranno perduto il loro fascino, rispetto a qualche decennio fa, ma molte sono migliorate. Forse non è poi una cattiva idea, celebrare la festa della donna.

Alessandra Rossi

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festa della donna 2016-03-08
+Mauro Grespini
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TAG: festa della donna

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