Continua la rassegna “Una piazza da cinema”: giovedì 19 luglio si ride con “Sconnessi”, commedia di Christian Marazziti con Fabio Bentivoglio, Ricky Memphis e Carolina Crescentini. Intanto ieri sera (domenica) è stato proiettato il film “Wonder” di Stephen Chbosky.
Ecco, di seguito, la recensione di Silvio Gobbi.
La scuola è un percorso difficile per molti giovani. Dentro le quattro mura scolastiche si può essere canzonati per i più svariati motivi, specialmente se si ha qualche difetto fisico. La situazione diventa insostenibile quando il tuo aspetto è diverso da quello degli altri per via di una malformazione genetica, immutabile, e non puoi farci nulla. Questa è il caso di August “Auggie” Pullman (Jacob Tremblay), bambino di undici anni affetto da una genetica malformazione craniofacciale. Non è mai andato a scuola prima, la madre Isabel (Julia Roberts) si è occupata della sua istruzione. Ma quando giunge il momento di cominciare le scuole medie, Isabel, il padre Nate (Owen Wilson) e la sorella maggiore Olivia “Via” Pullman (Izabela Vidovic), convincono Auggie ad andare in una scuola normale, per far sì che il ragazzino si sblocchi e cominci a socializzare con i coetanei. L’esperienza è inizialmente traumatica: gli occhi sono tutti puntati su di lui, sente il peso della diversità e viene isolato, come un appestato. Un ragazzino viziato di nome Julian (Bryce Gheisar) lo prende di mira, ma Auggie stringe amicizia con Jack Will (Noah Jupe). Jack, inizialmente, fa compagnia ad August solo per richiesta del preside, ma, successivamente, tra i due nasce una sincera amicizia, facendo sì che Auggie si integri sempre di più e rimanga meno isolato.
Detta così, la trama di Wonder di Stephen Chbosky (noto per aver girato il dramma adolescenziale Noi siamo infinito, 2012) non si discosta di tanto rispetto a molte delle commedie drammatiche americane sull’emarginazione del diverso. Ma questa pellicola ha un qualcosa in più. Oltre all’ottima interpretazione di tutti gli attori (dal giovanissimo Tremblay alla ormai celebre Julia Roberts), è la costruzione del film ad essere meritevole. C’è ritmo, come in molti altri film di marca statunitense: anche quando i loro prodotti risultano scialbi nei contenuti, il ritmo delle pellicole americane raramente è lento. Quel “qualcosa in più” sopra citato sta soprattutto nella costruzione dei personaggi: ognuno è complesso, nessuno di essi è abbandonato alla superficialità. Ovviamente la figura più approfondita è quella di Auggie, ma anche gli altri deuteragonisti non sono relegati a fare da semplice cornice. Ben descritta è Via, la sorella maggiore: una ragazza dolce, paziente, la quale ama il fratellino e soffre per la sua condizione. Via, a volte, si sente abbandonata dai genitori, solitamente molto più concentrati sul loro figlio, ma non prova mai invidia nei confronti di August: collabora, con grande maturità, al bene della famiglia. Altrettanto ben delineati sono i personaggi di Jack Will e di Miranda (Danielle Rose Russell), l’amica del cuore di Via: con una sinteticità che non cede alla frivolezza, l’autore dona loro la compiutezza. Ognuno di questi personaggi, definiti per convenzione “secondari”, acquistano la dignità di protagonisti: il regista e gli altri autori hanno curato molto bene tutte queste figure (compresa quella del bullo Julian). Questa premura nei caratteri dei personaggi era presente, in maniera più embrionale, anche nel precedente film del regista, il già citato Noi siamo infinito, ma con Wonder tale cura nei dettagli raggiunge una forma più compiuta. Come le cicatrici sul volto di August lo feriscono al suo interno, altrettanto pieni di cicatrici (intime) sono i personaggi che contornano il nostro protagonista. Una commedia drammatica che ci insegna come la vita non risparmi nessuno dai suoi colpi e dalle lesioni conseguenti, tutti noi abbiamo qualcosa per cui soffrire.
Silvio Gobbi