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Judas and the Black Messiah
Judas and the Black Messiah

Recensione: “Judas and the Black Messiah”, di Shaka King

Il 4 dicembre 1969, a soli ventuno anni, Fred Hampton, uno dei maggiori leader del Black Panther Party (le Pantere Nere), viene ucciso nel sonno, in un raid delle forze dell’ordine, a casa sua. Shaka King racconta la sua vita nell’ultimo anno di attività, dal momento in cui si infiltra nel gruppo William O’Neal, un afroamericano costretto dall’FBI ad entrare nel movimento per evitare la prigione. O’Neal dà informazioni ai federali e segue le direttive che riceve: l’obiettivo è impedire agli afroamericani, ai movimenti di sinistra, ai pacifisti e non, di organizzarsi e di far sì che il “Messia nero” (così era definito dal capo dei federali, il famigerato J. Edgar Hoover, l’uomo che controllò la società statunitense per quasi mezzo secolo, spiando tanto i presidenti stessi quanto personaggi come Charlie Chaplin) prenda il potere.

Un po’ di storia. Nel 1969, Malcolm X e Martin Luther King erano già morti. Il primo, leader musulmano della “NOI” (Nation Of Islam), il secondo, leader cristiano del movimento pacifico anti-segregazionista afroamericano. Le loro modalità di azione erano differenti, ma l’obiettivo era lo stesso: l’emancipazione del popolo afroamericano e la giustizia sociale. Hampton è uno di quelli che ha raccolto il loro testimone, ma facendo un passo in più: non fermare la lotta alla esclusiva emancipazione dei neri (premessa fondamentale), ma unire tutti gli ultimi nella lotta, ogni minoranza etnica ed anche i poveri bianchi, quelli che, seppur appartenendo alla “etnia egemone”, vivono lo stesso in condizioni di miseria. Un programma socialista che non si basa solo sulle parole e sui bei discorsi (arte in cui Hampton è portato), ma su di una concreta attività capillare tra la gente: mense per i meno abbienti (le famose colazioni gratuite), scuola per tutti e cure mediche gratis in ambulatori autogestiti. Un vero e proprio “Stato nello Stato”, con tanto di studio ferreo da parte dei militanti dei concetti base della politica e della lotta. O’Neal si inserisce in questo contesto e passa informazioni all’FBI per non finire in galera per i suoi reati (rubava auto e si spacciava, con un finto tesserino, per un agente federale).

Judas and the Black Messiah è uscito da poco nelle maggiori piattaforme di streaming e canali on-demand, e racconta questa storia con un taglio netto, diretto, senza fronzoli né trovate retoriche. Raffigura Fred Hampton nella sua attività politica e, con dose non eccessiva, nella sua vita privata. King mette in primo piano i suoi discorsi, le sue azioni e la sua visione politica granitica, determinata, anti-riformista e radicale: «Non opporremo fuoco al fuoco, ma acqua al fuoco. Né razzismo al razzismo, ma gli opporremo la solidarietà. Non opporremo al capitalismo il capitalismo nero, gli opporremo il socialismo». Un film che racconta la vicenda in maniera dinamica, attenta e senza romanzarla eccessivamente: un’occasione per conoscere la storia di un movimento fondamentale di quegli anni, un’epoca segnata da differenti forme di lotta, da quella non-violenta a quella armata, pur di cancellare le secolari ingiustizie subite dagli ultimi. Movimenti come Black Panthers, Students for a Democratic Society, i tumulti di Harlem, quelli alla Columbia University, ma anche quelli del Maggio francese, il Sessantotto italiano e l’Autunno caldo, la Kommune in Germania, e molti altri, avevano, seppur con i limiti che abbiamo scoperto nel tempo, l’obiettivo di un mondiale mutamento dello status quo. Chi afferma il contrario, chi vede in questi eventi solo rabbie giovanili, ignora la storia: ci vuole solo la voglia di capire, studiare e abbandonare i preconcetti superficiali che si hanno nei confronti di un periodo così tanto chiacchierato e sempre strumentalizzato. Non era solo “odio” nei confronti del nemico, era una ribellione strutturale: «La ribellione nasce dalle condizioni, e non da singoli individui. L’individuo non crea una ribellione, sono le condizioni». E le condizioni sono maturate in secoli e secoli di abusi e segregazione. Judas and the Black Messiah è un preciso ritaglio di quegli anni, un lungometraggio capace di mostrare le contraddizioni, la miseria che quei giovani tentarono, con il loro impegno, il loro studio, con le loro azioni, giuste e sbagliate, di estinguere: una parte di quel «sogno collettivo» (James Miller), globale, che ha avuto corpo tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.

Silvio Gobbi

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