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La prima pietra
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‘La prima pietra’: commedia sincera sulle comuni ipocrisie

«Chi è senza peccato, scagli la prima pietra», una delle frasi più note del Vangelo: monito a frenare l’odio e le condanne verso il prossimo senza prima aver guardato ai nostri peccati ed alle nostre nequizie. Ma se a lanciare la pietra è un bambino, spaccando una finestra della scuola, come bisogna comportarsi? Questo è il problema che deve risolvere il preside dell’Istituto (Corrado Guzzanti). Il ragazzino si chiama Samir e con il suo gesto, oltre a danneggiare il palazzo, ha anche ferito un bidello (Valerio Aprea) e sua moglie (Iaia Forte); vengono convocate la madre dell’alunno (Kasia Smutniak) e la caparbia nonna (Serra Yılmaz): presenziano l’incontro la maestra “New Age” (Lucia Mascino) ed il preside in persona. La situazione non è facile, la tensione tra i presenti è al massimo: nessuno vuole scendere a patti, nessuno cede di un millimetro. I problemi si faranno più fitti, le situazioni comiche crescenti e grottesche: ogni personaggio svelerà i propri difetti, senza ombra di politically correct né buonismo nella trama.

La prima pietra, commedia di Rolando Ravello, è un lavoro breve, ritmato: un crescendo di divertenti e amare situazioni, con un buon risultato complessivo. Gli attori lavorano in armonia, senza coprirsi: Ravello ha ben gestito il suo cast, senza stonature. Nevrotici, opportunisti e razzisti: tutti i personaggi sono accomunati da tali caratteristiche, ognuno mostra questi difetti. Non c’è apologia del cristiano, del musulmano, dell’ebreo, o di chiunque sia: sono tutti meschini allo stesso livello, bisogna solo aspettare che il loro proprio marcio affiori in superficie. Le interpretazioni sono degne di nota, specialmente quella di Corrado Guzzanti, il quale riesce naturale nel ruolo dell’esasperato e divertente preside cristiano, senza forzature né caricature: una garanzia di qualità. Altrettanto interessanti gli altri personaggi: l’indispettita e tenace mamma (Smutniak); la nonna musulmana fastidiosa come una zanzara (Yılmaz); la nervosa coppia ebraica (Arpea e Forte); la maestra apparentemente tollerante ed ansiosa (Mascino). Tutti sono al limite della pazienza: tic tac, la bomba sta per scoppiare. Una bomba che esplode nel finale, dove comicità e acredine si mescolano fino ai titoli di coda. Ravello ci mostra l’odio radicato facendoci ridere, e, proprio nel momento in cui rischia di cadere nella banalità, rimane fedele al messaggio della vicenda: gli uomini si odiano da tempo, per motivi culturali e religiosi, e si odieranno per sempre. L’integrazione funziona a singhiozzo e tutti scagliano, sempre, le proprie pietre: il mondo va così, campa d’odio e di intolleranza latente (ma fortemente radicata); ed i bambini tirano pietre perché lo hanno appreso dai loro caparbi ed ipocriti genitori. Tanto vale riderci sopra, c’è poco altro da fare.

Silvio Gobbi

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