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Il giovane Karl Marx
Il giovane Karl Marx

‘Il giovane Karl Marx’: il mondo che ancora deve cambiare

Anni Quaranta dell’Ottocento: Karl Marx (August Diehl), giovane filosofo insofferente nei confronti dell’ambiente hegeliano preponderante dell’epoca, è impegnato nell’attività giornalistica presso la «Gazzetta renana». L’attività del giornale è troppo sovversiva per la Prussia del tempo e, anche a causa degli aspri articoli di denuncia sociale scritti dal giovane materialista, la testata viene chiusa. Marx si sposta così in Francia, insieme alla moglie Jenny von Westphalen (Vicky Krieps). A Parigi, Karl è sempre spiantato: lavora per un giornale che non lo paga, ma ciò non placa la sua continua voglia di confrontarsi con il mondo politico e culturale che lo circonda (da Proudhon a Bakunin). Conosce così Friedrich Engels (Stefan Konarske), tedesco anch’egli, figlio di un grande proprietario di opifici in Inghilterra, e autore del famoso saggio La situazione della classe operaia in Inghilterra (scritto tra il 1842-44, pubblicato nel 1845). Tra i due ragazzi c’è fin da subito un’intesa frenetica sulla concezione del mondo e sulla necessità di far sì che la filosofia superi un importante guado: da mera interpretatrice del mondo a molla per il cambiamento; una mutazione, per fare in modo che il pensiero diventi azione. I due cominciano ad approfondire sempre di più la conoscenza delle condizioni del mondo operaio e proletario, entrano nella Lega dei Giusti (una delle più famose organizzazioni operaie clandestine dell’epoca), discutono con e contro le menti più autorevoli dell’ambiente (il grande scontro con Wilhelm Weitling, per via del suo astrattismo quasi anarcoide), fino alla stesura del celebre Manifesto del Partito Comunista (1848). Il giovane Karl Marx di Raoul Peck è un film che cerca di non cadere nella retorica dell’agiografia. L’autore non ha ceduto alla rappresentazione del santino: Marx viene visto in ogni sua luce ed ombra. Le sue difficoltà economiche, gli arresti, le fughe, le sbronze con Engels, il carattere spesso drastico e tagliente: non ci sono sconti nella rappresentazione. Emerge una caratteristica importante del filosofo: la forza dialettica e la voglia di confronto che, a volte, cade nel gusto del diverbio. Marx è il primo a non creare santi: non solo per la sua giovane età (il film si conclude con lui ad un passo dal compiere i trenta anni), ma proprio per intima convinzione che tutto e chiunque debba essere messo in discussione, senza privilegi. Karl è un giovane dinamico, stanco dell’ambiente filosofico stantio di matrice accademica, relegato ai salotti dalle discussioni sterili e autoreferenziali. Marx ed Engels preferiscono andare in mezzo ai lavoratori (prendendo anche qualche cazzotto), sono malvisti, spesso in fuga dalla polizia e discutono con i membri delle associazioni operaie: vivono il loro tempo in maniera completa, per cercare di comprenderne, fino in fondo, le contraddizioni. Contrari o favorevoli al pensiero di Marx, non lo si può tacciare di essere stato uno dei tanti filosofi da poltrona, più abili nell’arte della chiacchiera che nell’esercizio del pensiero critico. Anche a livello tecnico, Il giovane Karl Marx ci riserva una buona sorpresa. Il regista utilizza la camera in maniera sia descrittiva che autoriale, giungendo ad un buon equilibrio nel prodotto: Peck dosa bene la tecnica cinematografica e lo spazio della storia del filosofo materialista. La regia non è statica né anonima, ha un proprio linguaggio narrativo, con delle inquadrature significative, delle ambientazioni dettagliate, ed una fotografia (curata da Kolja Brandt) che sa equilibrare bene la presenza della luce, donando al lavoro una rappresentazione dalla colorazione pregevole. Non ci sono lungaggini nella pellicola, il film non cede alla noia didascalica: Peck ha realizzato un lungometraggio tecnicamente (e non solo) degno di nota. L’unico punto in cui il film cede leggermente è nel finale, quando sentiamo la voce fuori campo di Marx leggere delle parti del Manifesto mentre appaiono, in sequenza, varie inquadrature di lavoratori: qui emerge un po’ di retorica che si poteva tranquillamente evitare, anche se, tutto sommato, ciò non inficia drammaticamente il lavoro cinematografico nel suo complesso. L’intento del regista non è solamente quello di descrivere, biograficamente, il periodo giovanile della vita di Marx, incubatore della sua maturità che sfocerà nel famoso Il Capitale. Peck non mira solo a questo. Il Marx da lui rappresentato non è giovane solo anagraficamente parlando, ma è “giovane” per via del suo pensiero. Per l’autore, l’originaria teoria di necessità di emancipazione degli sfruttati è ancora viva, di grande attualità: egli ne sottolinea la sua mancata attuazione, la ancora non completa realizzazione, nel mondo d’oggi, di questa voglia emancipatrice che sta alla base del pensiero del filosofo tedesco (come si evince dalle immagini finali e da alcune didascalie di coda). Secondo il regista, l’emancipazione e la giustizia sociale tanto studiate e desiderate da quel giovane, irruente e caparbio, ma acuto, non sono ancora state realizzate, ed il mondo ha ancora molta strada da fare per poterle raggiungere e per poter così cambiare.

Silvio Gobbi

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