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Tra due mondi
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La recensione: “Tra due mondi”, film di Emmanuel Carrère

La nota scrittrice Marianne Winckler (Juliette Binoche) decide di scrivere un libro per raccontare il mondo del precariato, dei sottoccupati e dei disoccupati. Si trasferisce dove nessuno la conosce, in una città della Normandia, per descrivere la vita delle addette alle pulizie, dipendenti sottopagate e costrette a turni di lavoro massacranti, con contratti di lavoro a ore ed incerti. Marianne vuole sporcarsi le mani e vivere integralmente quella realtà, entrando, in incognito, nel mondo delle pulizie, come se fosse anch’essa come una dipendente qualunque: scoprirà la dura fatica di quella vita e stringerà forti legami con le colleghe, in particolare con Christèle (Hélène Lambert). Ma per quanto, e con quali conseguenze, Marianne riuscirà a celare la propria vera identità?

Tra due mondi è il terzo film dello scrittore Emmanuel Carrère. Adattamento cinematografico del libro-inchiesta della giornalista francese Florence Aubenas Le Quai de Ouistreham, il film di Carrère è un’opera dallo stile sobrio, diretto e chiaro: riesce ad instaurare un ottimo dialogo tra le attrici (non professioniste) e la famosa protagonista, realizzando così un efficace equilibrio tra l’incontro di questi due distanti mondi (quello del precariato e quello della benestante giornalista in incognito).

Per certi aspetti, ricorda Bread and Roses di Ken Loach (2000), scritto insieme a Paul Laverty, noto film sul precariato incentrato sulle addette delle pulizie negli USA. Ma l’opera di Carrère non parla solo di sfruttamento, si concentra fortemente sull’aspetto comunicativo “tra due mondi” così diversi: è mai possibile instaurare un autentico legame tra chi appartiene a due categorie sociali così distanti? Tra Marianne e Christèle? E se sì, per quanto può durare? Su questo, Carrère non cede ai buoni sentimenti, e mostra al pubblico come tale comunicazione possa essere tanto proficua quanto deleteria e irrealizzabile.

Evidenzia le difficoltà di quel mondo, senza sconti, dalla burocrazia complessa alle garanzie contrattuali inesistenti, dalla fatica incredibile agli irti ostacoli che si hanno nel mantenere una famiglia con quelle misere paghe. Le colleghe di Marianne non conoscono il senso della parola fortuna: esemplare, in questo caso, quando i bambini di Christèle dicono «trifoglio con quattro petali» per indicare un quadrifoglio; non avendo conosciuto in vita loro la fortuna, non ne riconoscono nemmeno il suo simbolo più famoso, il quadrifoglio, ignorandone per forza anche il nome.

«Noi vogliamo il pane, ma vogliamo anche le rose. Vogliamo tutte le cose belle, tutte le cose belle della vita», dice il sindacalista del film di Loach, durante la protesta per ottenere migliori garanzie lavorative, citando lo slogan dello sciopero di Lawrence del 1912. Marianne ha il pane e le rose, Christèle al massimo riesce a procacciarsi il pane, ed è proprio questa radicata disparità di fondo che rende Tra due mondi un sincero film sulle ingiustizie che troppe persone subiscono. Ingiustizie che non si fermano alle condizioni economiche, ma che vanno ad intaccare anche la sfera emotiva di chi ne è vittima, impedendo la realizzazione della propria vita e la nascita di salde amicizie, come il tortuoso e particolareggiato rapporto tra Marienne e Christèle, oscillante tra affetto ed incomprensione, bene ci fa vedere.

Silvio Gobbi

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